Si dice che le auto trovate nei fienili dopo decenni di abbandono ormai non ci sono più. Invece non è cosi. Lo testimonia la vicenda di una Ford GT40 in versione roadster (di cui furono allestiti soltanto cinque esemplari) che per 40 anni si credette perduta, nella convinzione che fosse andata demolita negli anni ‘60. Che sensazioni deve aver provato chi ha aperto il garage londinese dove da tempo era chiusa la vettura, telaio numero GT/111. O, per meglio dire, ciò che di essa era rimasto. Una scoperta dovuta al fatto che l’edificio dov’era il vecchio garage dimenticato, si trovava nel bel mezzo dell’area dove sorgerà il villaggio olimpico… E qui nasce il primo interrogativo: come c’è finita lì una GT40? E poi: sarà un originale o un falso artigianale, magari ben fatto?
Conquistare Le Mans
In realtà, i dubbi sono stati fugati in breve tempo. Ma, come sempre, è meglio partire dall’inizio. La storia della GT40 è nota, ma sempre affascinante. A inizio anni ‘60 Ford era protagonista nelle varie specialità motoristiche americane, dalle stock-car alle monoposto di Indianapolis. Senza contare i motori messi a disposizione delle varie Cobra e Shelby. Tuttavia, per la famiglia Ford, ciò non era sufficiente; si voleva rinfrescare l’immagine dell’Ovale Blu, un po’ appannata a livello internazionale. La cosa migliore sarebbe stata vincere la 24 Ore di Le Mans, gara ben nota anche in USA e di grande risonanza europea, che valeva da sola un’intera campagna pubblicitaria. C’era però un problema, e non piccolo. Ford aveva una grande esperienza con le grosse cilindrate; ma ben di- versa era la situazione in Europa, dove motori di cubatura ben minore erano abbinati a telai e carrozzerie leggere, con sospensioni complesse e dalle geometrie raffinate. Eric Broadley Come abbia potuto Ford entrare in quel mondo e dominare in poco tempo è domanda dalla risposta semplice: con il denaro.
E’ noto che, per vincere a Le Mans, Ford spese milioni di dollari, tanti da considerare perfino di acquistare l’intera Ferrari: le trattative arrivarono a un punto molto avanzato, ma alla fine il Commendatore si alzò dal tavolo, facendo infuriare Henry Ford II. Doop aver tentato anche con Cooper e Lotus, Ford decise di fare altrimenti: fondò la Ford Advanced Vehicles Limited (FAV), a Slough, in Inghilterra, per l’ingegnerizzazione e lo sviluppo della nuova auto. A lavorarvi furono assunti tre specialisti: Roy Lunn, che a soli 24 anni era stato responsabile della progettazione alla Jowett, da cui era passato all’Aston Martin prima e alla Ford England poi; John Wyer, ex team manager dell’Aston Martin con un grande merito nella vittoria alla 24 Ore di Le Mans del ‘59. Ultimo, ma non ultimo, il fondatore della Lola Eric Broadley, che si era preso un anno “sabbatico” dalla sua azienda.
La cosa non era casuale perché Broadley nel 1963 aveva disegnato la Lola Mk6, una sport a motore centrale posteriore con motore V8 Ford. Essa fece da nella progettazione della macchina da corsa americana per l’Europa. Meno di un anno dopo l’avvio dell’operazione, nell’aprile del 1964, dalla FAV uscirono i primi due prototipi, con carrozzeria bianca, per partecipare alle prove preliminari della 24 Ore di Le Mans. In un giorno di pioggia, entrambe le auto ebbero grossi incidenti, per i gravi problemi di portanza della carrozzeria a cui si accompagnava il surriscaldamento della meccanica. Ford Advanced Vehicles continuò comunque la produzione, realizzando dodici prototipi della vettura, da li al 1965, di cui sette coupé e cinque roadster. Non si sa esattamente il motivo degli esemplari senza tetto, ma si può supporre che in Ford tentassero ogni strada, e visto che le Ferrari vincitrici dal 1960 al ’65 erano tutte scoperte… Targa Florio Come la coupé, anche la roadster fu chiamata semplicemente GT; l’aggiunta della cifra 40 arrivò in seguito, per indicare i pollici (pari a 1.016 mm) di altezza della macchina. In realtà, la roadster è un paio di pollici ancora più bassa.
Come le coupé, anche le “scoperte” furono tutte sottoposte a test in pista. La GT/111 fu iscritta ai test della 24 Ore di Le Mans svoltisi il 10 aprile 1965. Fu una delle prime auto con cambio ZF, dato che il Colotti nel 1964 aveva causato il ritiro di tutte le tre GT40 iscritte alla 24 Ore della Sarthe. Alle prove preliminari si presentò con livrea bianco brillante e cerchi a raggi Borrani, con altri due esemplari arrivati dalla sede USA di Dearborn, dov’erano state inviate per montare il motore da 7 litri. Al volante della “111” c’era il nuovo pilota ufficiale John Whitmore, che realizzò un giro in 3’50”, tempo discreto ma cinque secondi più lento della peggior coupé. Fu deciso pertanto di iscrivere la GT/111 alla Targa Florio del 5 maggio 1965. Così la “111” fu imbarcata per Palermo per affrontare i dieci giri della “più impegnativa gara stradale del mondo”. A Sir John Whitmore fu affiancato l’americano Bob Bondurant, per battersi con le Ferrari 275P e le Porsche 904, e la vettura fu riverniciata in verde e si montarono cerchi Halibrand in magnesio.
Video GT40 LeMans on board 1966
La “111” si dimostrò abbastanza veloce sul “Piccolo” delle Madonie, con il miglior giro in 41’ 64”. Ma in gara presto comparvero problemi, sotto forma di una perdita d’olio; poi il motore prese a funzionare a sette cilindri. Infine, al quinto giro la GT 111 perse una ruota anteriore e Whitmore finì fuori strada. Nell’uscita di strada, Whitmore perse molto tempo, anche perché nella confusione che ne derivò qualche “cacciatore di souvenir” pensò bene di prendersi il gallettone centrale della ruota… L’auto fu poi in condizione di ripartire, ma l’assetto era compromesso. Bondurant diede comunque il cambio a Whitmore, ma uscì di strada rovinosamente. Fu la fine dell’attività sportiva della GT/111. E anche degli altri prototipi aperti. A Slough si decise di proseguire nel programma soltanto con i coupé. E la scelta fu evidentemente giusta, dato che la GT40 vinse a Le Mans dal 1966 al 1969. Quei prototipi roadster furono presto dimenticati e la FAV dispose la demolizione della vettura. Che però non fu mai eseguita. Il telaio monoscocca fu tagliato in due parti e portato al deposito di un rottamaio che, nonostante si fosse impegnato a demolire il tutto, nascose i pezzi in garage.