23 November 2013

Epoca: Ford GT/111

Quando la Casa americana decise di andare all’attacco di Le Mans, vagliò varie possibilità, compreso l’acquisto della Ferrari. Il rifiuto del Commendatore fece infuriare Henry Ford, che decise di far partire le operazioni di conquista partendo da zero. Tra i primi prototipi....

Gli inizi

Si dice che le auto trovate nei fienili dopo decenni di abbandono ormai non ci sono più. Invece non è cosi. Lo testimonia la vicenda di una Ford GT40 in versione roadster (di cui furono allestiti soltanto cinque esemplari) che per 40 anni si credette perduta, nella convinzione che fosse andata demolita negli anni ‘60. Che sensazioni deve aver provato chi ha aperto il garage londinese dove da tempo era chiusa la vettura, telaio numero GT/111. O, per meglio dire, ciò che di essa era rimasto. Una scoperta dovuta al fatto che l’edificio dov’era il vecchio garage dimenticato, si trovava nel bel mezzo dell’area dove sorgerà il villaggio olimpico… E qui nasce il primo interrogativo: come c’è finita lì una GT40? E poi: sarà un originale o un falso artigianale, magari ben fatto?

Conquistare Le Mans

In realtà, i dubbi sono stati fugati in breve tempo. Ma, come sempre, è meglio partire dall’inizio. La storia della GT40 è nota, ma sempre affascinante. A inizio anni ‘60 Ford era protagonista nelle varie specialità motoristiche americane, dalle stock-car alle monoposto di Indianapolis. Senza contare i motori messi a disposizione delle varie Cobra e Shelby. Tuttavia, per la famiglia Ford, ciò non era sufficiente; si voleva rinfrescare l’immagine dell’Ovale Blu, un po’ appannata a livello internazionale. La cosa migliore sarebbe stata vincere la 24 Ore di Le Mans, gara ben nota anche in USA e di grande risonanza europea, che valeva da sola un’intera campagna pubblicitaria. C’era però un problema, e non piccolo. Ford aveva una grande esperienza con le grosse cilindrate; ma ben di- versa era la situazione in Europa, dove motori di cubatura ben minore erano abbinati a telai e carrozzerie leggere, con sospensioni complesse e dalle geometrie raffinate. Eric Broadley Come abbia potuto Ford entrare in quel mondo e dominare in poco tempo è domanda dalla risposta semplice: con il denaro.

E’ noto che, per vincere a Le Mans, Ford spese milioni di dollari, tanti da considerare perfino di acquistare l’intera Ferrari: le trattative arrivarono a un punto molto avanzato, ma alla fine il Commendatore si alzò dal tavolo, facendo infuriare Henry Ford II. Doop aver tentato anche con Cooper e Lotus, Ford decise di fare altrimenti: fondò la Ford Advanced Vehicles Limited (FAV), a Slough, in Inghilterra, per l’ingegnerizzazione e lo sviluppo della nuova auto. A lavorarvi furono assunti tre specialisti: Roy Lunn, che a soli 24 anni era stato responsabile della progettazione alla Jowett, da cui era passato all’Aston Martin prima e alla Ford England poi; John Wyer, ex team manager dell’Aston Martin con un grande merito nella vittoria alla 24 Ore di Le Mans del ‘59. Ultimo, ma non ultimo, il fondatore della Lola Eric Broadley, che si era preso un anno “sabbatico” dalla sua azienda.

La cosa non era casuale perché Broadley nel 1963 aveva disegnato la Lola Mk6, una sport a motore centrale posteriore con motore V8 Ford. Essa fece da nella progettazione della macchina da corsa americana per l’Europa. Meno di un anno dopo l’avvio dell’operazione, nell’aprile del 1964, dalla FAV uscirono i primi due prototipi, con carrozzeria bianca, per partecipare alle prove preliminari della 24 Ore di Le Mans. In un giorno di pioggia, entrambe le auto ebbero grossi incidenti, per i gravi problemi di portanza della carrozzeria a cui si accompagnava il surriscaldamento della meccanica. Ford Advanced Vehicles continuò comunque la produzione, realizzando dodici prototipi della vettura, da li al 1965, di cui sette coupé e cinque roadster. Non si sa esattamente il motivo degli esemplari senza tetto, ma si può supporre che in Ford tentassero ogni strada, e visto che le Ferrari vincitrici dal 1960 al ’65 erano tutte scoperte… Targa Florio Come la coupé, anche la roadster fu chiamata semplicemente GT; l’aggiunta della cifra 40 arrivò in seguito, per indicare i pollici (pari a 1.016 mm) di altezza della macchina. In realtà, la roadster è un paio di pollici ancora più bassa.

Come le coupé, anche le “scoperte” furono tutte sottoposte a test in pista. La GT/111 fu iscritta ai test della 24 Ore di Le Mans svoltisi il 10 aprile 1965. Fu una delle prime auto con cambio ZF, dato che il Colotti nel 1964 aveva causato il ritiro di tutte le tre GT40 iscritte alla 24 Ore della Sarthe. Alle prove preliminari si presentò con livrea bianco brillante e cerchi a raggi Borrani, con altri due esemplari arrivati dalla sede USA di Dearborn, dov’erano state inviate per montare il motore da 7 litri. Al volante della “111” c’era il nuovo pilota ufficiale John Whitmore, che realizzò un giro in 3’50”, tempo discreto ma cinque secondi più lento della peggior coupé. Fu deciso pertanto di iscrivere la GT/111 alla Targa Florio del 5 maggio 1965. Così la “111” fu imbarcata per Palermo per affrontare i dieci giri della “più impegnativa gara stradale del mondo”. A Sir John Whitmore fu affiancato l’americano Bob Bondurant, per battersi con le Ferrari 275P e le Porsche 904, e la vettura fu riverniciata in verde e si montarono cerchi Halibrand in magnesio.

Video GT40 LeMans on board 1966

La “111” si dimostrò abbastanza veloce sul “Piccolo” delle Madonie, con il miglior giro in 41’ 64”. Ma in gara presto comparvero problemi, sotto forma di una perdita d’olio; poi il motore prese a funzionare a sette cilindri. Infine, al quinto giro la GT 111 perse una ruota anteriore e Whitmore finì fuori strada. Nell’uscita di strada, Whitmore perse molto tempo, anche perché nella confusione che ne derivò qualche “cacciatore di souvenir” pensò bene di prendersi il gallettone centrale della ruota… L’auto fu poi in condizione di ripartire, ma l’assetto era compromesso. Bondurant diede comunque il cambio a Whitmore, ma uscì di strada rovinosamente. Fu la fine dell’attività sportiva della GT/111. E anche degli altri prototipi aperti. A Slough si decise di proseguire nel programma soltanto con i coupé. E la scelta fu evidentemente giusta, dato che la GT40 vinse a Le Mans dal 1966 al 1969. Quei prototipi roadster furono presto dimenticati e la FAV dispose la demolizione della vettura. Che però non fu mai eseguita. Il telaio monoscocca fu tagliato in due parti e portato al deposito di un rottamaio che, nonostante si fosse impegnato a demolire il tutto, nascose i pezzi in garage.

Su strada

Passati quarant’anni, il telaio segato è stato venduto all’attuale proprietario, Philip Walker, pilota nelle gare di auto storiche. Prima di definire l’operazione Walker ha voluto accertarsi che si trattasse proprio della GT/111. La prova dell’autenticità della vettura l’hanno data gli stessi rottami: alcuni dettagli deponevano a favore del “riconoscimento”, come il la parte anteriore del telaio blu, o la struttura inferiore a supporto del serbatoio stampato. Con la perizia nero su bianco, Walker ha acquistato la macchina e cominciato un lavoro che si è presentato come una delle sfide più grandi nel restauro di auto d’epoca. Per il lavoro Walker si è rivolto agli specialisti di Gelscoe Motorsport, celebri proprio per i loro interventi sulle GT40 e inoltre in possesso dei disegni di progetto originali della Ford Advanced Vehicles. Bisogna spingere Passati cinque anni, la /111 è tornata a fare ciò per cui era stata costruita: corre nelle più importanti gare storiche. Pertanto una prova di quest’auto non poteva svolgersi altro che in un circuito chiuso.

L’auto intimidisce da ogni lato la si prenda. L’avviamento, per esempio. Ben sistemati nel sedile a guscio della GT/111, si ha una buona visibilità in avanti, ma veramente scarsa dietro. Incastrati lì dentro, si tira il l’interruttore generale, si mette quello di accensione su “on” e si sceglie uno dei due serbatoi della benzina. A quel punto per mettere in moto il V8 non resta che premere il pulsante di avviamento, dal che si ha dapprima un suono metallico che poi si trasforma in una “voce” che pare esplodere. Il primo urlo del V8 pare venire più da un cannone che da un motore, poi l’otto cilindri 4.7 gira rotondo e sorprendentemente tranquillo. La leva del cambio è sulla destra e la frizione è molto dura: doppia fatica, perché bisogna azionarla molto lentamente mentre bisogna essere decisi con il gas se non si vuole far morire il motore.

Lì per lì pare difficile ma dopo un po’ di pratica la manovra diventa quasi facile. Cambiare i rapporti, sia a salire sia a scendere, è lavoro pesante ma se si aziona la leva con decisione e con forza le cose migliorano molto. Già ai bassi regimi si ha a disposizione abbastanza coppia, anche se il motore pare incerto, a causa dell’enorme quantità di benzina che le due pompe inviano ai carburatori. E’ evidente che il 4.7 Ford vuole girare a regimi elevati. A ciò c’è un solo rimedio: spingere a tavoletta, perché ci rendiamo conto in fretta che a fare le cose con gentilezza non si ottiene nulla. Per avere il ritmo giusto per questa macchina non servono riguardi né prudenza. Dapprima gli otto cornetti d’aspirazione dietro la nostra testa starnutiscono un po’, ma già a tremila giri le cose cambiano: la carburazione arriva a regime con alberi a camme, valvole, pistoni, candele, che prendono a funzionare all’unisono e il rombo irregolare lascia posto a un ritmo che chiede di raggiungere rapidamente le marce più alte. Il rumore è opprimente, paragonabile soltanto a un aereo da caccia in volo radente. Metto la terza con un “bang” - e cambiare marcia richiede una certa brutalità - e schiacciando di nuovo l’acceleratore sono avvolto da una nuova “esplosione”, poi il motore torna a girare con perfetta cadenza. La stessa cosa succede con quarta e quinta. L’accelerazione è scioccante per noi, ma per la GT40 non sembra nemmeno granché.

Stando a ciò che racconta Walker, le cose cominciano a farsi preoccupanti soltanto quando si iniziano a vedere i tergi alzarsi, cosa che però accade oltre i 240 km/h… Il volante di diametro abbondante sembra essere collegato direttamente alle ruote. All’approccio di una curva basta pensare di impostare per ritrovarsi alla corda, con le gomme che mordono l’asfalto nella traiettoria desiderata. Ci sono anche aspetti negativi? Si, ci sono. Anzitutto il terribile rumore proveniente dal motore, insieme a un calore che pare arrivare direttamente dall’inferno… Roadster o no. Insieme allo sterzo pesante e allo sforzo richiesto da frizione e cambio, la guida è faticosissima. C’è da chiedersi come facessero i piloti a correre per 24 ore, in due, in giugno… È difficile riuscire a immaginarlo. Poi c’è il rischio di perdere aderenza e il controllo della vettura, che manifesta un insidioso sovrasterzo, come ha evidenziato ogni test stradale di qualsiasi GT40. E d’altra parte è una tendenza prevedibile, dato che i 400 CV del V8 sono scaricati sulle ruote posteriori di una vettura leggerissima. Oltre a ciò, il motore Ford è montato relativamente in alto nel telaio di una macchina molto bassa, perciò basta arrivare alla corda con un po’ di entusiasmo di troppo o, peggio, toccare i freni al momento sbagliato e le conseguenze di questa caratteristica si fanno subito sentire.

Quanto a come e quando aprire il gas in curva, bisogna aspettare che le ruote posteriori abbiano buon grip per cominciare a farlo, e con dolcezza. Soltanto così si può riuscire a superare la curva e spingere poi a fondo. Non sappiamo a che velocità siamo, ma andiamo forte, e ci arriviamo in fretta. Ovviamente c’è un fattore che ci tiene bene a bada: il valore economico della macchina. Nel catalogo dell’asta organizzata da RM in occasione del recente concorso di Villa d’Este (dove peraltro non ha raggiunto la quotazione richiesta), la GT/111 è stata presentata con una stima tra 2,4 e 2,9 milioni di euro. Con il che nasce un altro interrogativo: perché Walker ha deciso di separarsi dalla vettura? A chiederglielo l’interessato deve pensarci un po’ prima di rispondere, poi trova le parole: «Mi sono goduto ogni momento del restauro come se l’avessi guidata in corsa. Detto questo c’è un elemento che mi frena: la sua unicità. Quando sono al volante mi viene sempre in mente che è un pezzo di storia, che non posso rimpiazzarla, e ciò è un freno, mentre a me piace guidare al limite. Durante la 6 Ore di Spa si è rotto un semiasse e la cosa mi ha spinto a essere più attento. Così ho pensato di comprarmi una GT40 chiusa, di produzione, con la quale possa guidare senza remore derivanti dalla sua unicità e cercare così il limite». Possiamo soltanto sperare che il nuovo proprietario continui a schierare la vettura nelle gare per auto storiche, perché non c’è niente di peggio che vedere vetture nate per correre finire i loro giorni come giocattoli ultra lucidati in concorsi ed esposizioni. Quasi guardiamo a Walker con un pizzico di compassione; ma lui ha già tirato il contatto principale ed è pronto per un altro giro.

Video Gulf Racing Ford GT40 MK1 in pista:

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