26 August 2014

Francia - Inghilterra: Alpine A110 vs Lotus Europa S2

Un motore e un’impostazione comuni, ma con una fondamentale differenza: il montaggio a sbalzo oppure centrale. La francese è una pietra miliare della storia delle competizioni, l’inglese un’idea....

Alpine

A metterle una di fianco all’altra, l’Alpine A 110 e la Lotus Europa sembrerebbero due macchine agli antipodi. Compatta, dalle linee curve, armoniche ed eleganti, la francese; con linee più squadrate e ingombranti, quasi da furgoncino del pane, l’inglese. La prima con un pedegree da reginetta dei rally suggellato da un titolo iridato (1973), ma come scopriremo in seguito anche una meno conosciuta e sfruttata attitudine alla pista, la seconda con un palmares decisamente più “leggero”, ottenuto solo tra i cordoli. Al punto che è lecito chiedersi perché abbiamo deciso di metterle in pista insieme, saggiandone anche le rispettive doti. Ebbene, mai come in questo caso vale il detto “l’abito non fa il monaco”, perché basta conoscerle meglio per accorgersi che, a dispetto delle apparenze, i punti in comune tra queste due auto non sono pochi.

A cominciare dalla posizione del motore, posteriore ma a sbalzo sull’Alpine e centrale sulla Lotus; poi, il materiale della carrozzeria, la vetroresina; infine, il telaio a trave centrale con traversa anteriore e culla posteriore. La meccanica, poi, è la stessa, di derivazione Renault 16, benché sviluppata in modo diverso. Motore uguale ma anima diversa per le due auto, non soltanto per il montaggio differente, ma anche per le sospensioni. Jean Rédélé e Colin Chapman seguivano filosofie tecniche e sportive diverse: i rally e le gare su strada il primo, la pista, fino alla massima espressione con la F1, il secondo

NATA PER LE GARE
La A110, disegnata da Giovanni Michelotti, debutta sulla scena nel 1962 rilevando il testimone dalla precedente A108 di cui riprende l’andamento delle linee, differenziandosi però sia nel frontale con i doppi fari sia nella coda per un risultato generale più aggressivo. Anche il telaio riprende la filosofia della progenitrice, con il trave centrale, del diametro di 120 mm, completato da una traversa anteriore a cui sono collegate le sospensioni e una culla posteriore in tubi quadri che oltre alle sospensioni, a doppio ammortizzatore (Koni regolabili in estensione), sostiene anche il motore a sbalzo dietro l’asse posteriore. Nella sua lunga carriera la A110 adotta diverse motorizzazioni: all’inizio quella delle Renault 8, quattro cilindri di 956 cc da 50 Cv per 160 km/h, grazie anche al peso di soli 680 kg; nel 1964 passa al 1.108 cc della R8 Major da 86 Cv, mentre nel 1967 è la volta del 1.255 (poi 1.289) della R12 con cui la potenza sale a 110 Cv. Con questo la A110 comincia la striscia vincente nei Rally, ma la definitiva consacrazione arriva con il 1.565 cc della R16, che sfiora i 150 Cv per una velocità prossima ai 215 km/h sull’auto di serie (la versione Gr. 4 superò i160 Cv).

Proprio con il “millesei” l’Alpine vinse tutto nei Rally: derivato dal Renault 16 TS, ha la testa a camere emisferiche come quelle che Gordini aveva realizzato per la R8, che permetteva di montare valvole di maggiori dimensioni e ottimizzare i condotti, separando sui due lati scarico e aspirazione, e di montare due carburatori doppio corpo Weber da 45 mm. Le crepe parlano L’Alpine A110 del nostro servizio è stata acquistata nel 1989 da Antonio Bigatti, già possessore di una A110 stradale, dopo lunghe ricerche perché allora per correre nelle “storiche” era necessario avere una vettura con passato sportivo. La suddetta vettura, immatricolata nel 1970, fu importata in Italia l’anno dopo e usata in diverse gare in pista e in salita, dove vinse il titolo tricolore prima di parcheggiarla in garage. Al momento dell’acquisto la vettura si presentava in condizioni “da salone”, con carrozzeria bella tirata a lustro ma meccanica da rivedere. “Sulla auto da corsa spesso si usavano spessori inferiori rispetto alle stradali -spiega Bigatti-per risparmiare peso. Le vibrazioni causano piccole crepe sulla superficie, perciò quando vedi un’Alpine con la carrozzeria perfetta significa due cose: o è stata appena restaurata oppure è usata solo per esposizione. Questa era parcheggiata da oltre 15 anni e la meccanica era rimasta come aveva finito l’ultima gara, perciò per riportarla in pista abbiamo ritenuto necessario effettuare un restauro completo”.

RESTAURO TOTALE
L’Alpine è stata completamente smontata, separando la carrozzeria in vetroresina dal telaio. Questo è stato sabbiato per verificare il reale stato dei tubi, soprattutto nelle zone critiche di congiunzione, che in alcuni punti hanno richiesto il ripristino delle saldature, mentre nella zona posteriore sono stati sostituiti alcuni tubi della culla.La carrozzeria è stata mandata da uno specialista francese per il ripristino e, pur con una successiva modifica ai passaruota ,Bigatti ha scelto di mantenere la configurazione Gr. 4 del ’71, senza cedere alla tentazione di allargare gli stessi in modo eccessivo come avvenne per le versioni successive al ’73. Quindi è stata applicata una gabbia di sicurezza aggiornata secondo le nuove normative di sicurezza, e revisionata l’intera parte meccanica, dalle sospensioni all’impianto frenante, già dotato di doppia pinza, dal cambio al motore, preparato da Marco Messa, che oltre ad essere titolare dell’omonima storica concessionaria Renault di Monza corre e segue da anni la preparazione di molte Alpine. Da allora l’Alpine del nostro servizio si è schierata al via di circa un centinaio di gare tra Velocità e Rally.

Soprattutto gare del Campionato Italiano, dove ha spesso ottenuto la vittoria nel raggruppamento fino a 1.600 cc, ma anche all’estero, dove spicca il 2° posto assoluto nella 300 km del Nurburgring 2005. Su sterrato spicca la vittoria al Rally du Var 2004 ottenuta dal figlio di Bigatti, Michele, navigato da Barbara Adamoli in una gara che vedeva al via anche il figlio del fondatore dell’Alpine Jean Rédélé.

Lotus

Il primo studio di progetto di quella che sarà poi la Lotus Europa è datato 1963, con i disegni dell’allora direttore della Lotus Engineering, Ron Hickman, nati come proposta per un’auto da competizione per la Ford. Poi, ad aggiudicarsi quella commessa fu la Lola, anche perché Colin Chapman voleva che l’automobile si chiamasse solo Lotus, senza l’aggiunta di Ford. Il patron Lotus decise di usare le linee di Hickman, che con un Cd di soli 0.29 avevano un coefficiente di resistenza all’avanzamento (drag) eccellente per l’epoca, come base per la nuova GT di serie che Lotus voleva lanciare con il nome di Europa. Una GT che voleva essere economica. La prima versione però lo era fin troppo: aveva i finestrini laterali fissi, i sedili non regolabili e un impianto di riscaldamento misero; le vendite della type 46, come fu chiamata la prima serie, non furono perciò un successo. Sotto il profilo tecnico, invece, la 46 vantava soluzioni piuttosto interessanti, proprio perché ispirate alle competizioni.

TELAIO
Il telaio riprendeva la filosofia progettuale della Lotus Elan, con il trave centrale in acciaio scatolato che oltre alla scocca sostiene motore e sospensioni. Inoltre, la nuova Lotus montava il motore in posizione centrale, novità assoluta all’epoca per una vettura stradale. Allo scopo fu preso il blocco motore-cambio derivato dalla Renault 16 TL, girato di 180° rispetto alla vettura francese. Il quattro cilindri francese di 1.470 cc, pur se ancora a valvole parallele e dunque senza la raffinatezza dell’elaborazione presente sull’Alpine, era una scelta eccellente e coerente con la filosofia di Chapman votata alla leggerezza, dato che era tutto in alluminio, e nella versione modificata per la Lotus Europa stradale garantiva una potenza di 82 Cv che, grazie al peso contenuto in 680 kg, spingeva la GT inglese a una velocità massima di 180 km/h. C’erano poi sospensioni anteriori a doppi triangoli di derivazione Triumph Spitfire, così come la scatola guida, mentre al posteriore erano composte da trapezi inferiori con lunghi puntoni longitudinali tipo monoposto, così come i bellissimi, e delicati, portamozzi in fusione. Per le gare Chapman preferì poi investire sulla Lotus 47, nata nel frattempo, che tuttavia ebbe anch’essa una breve carriera perché il genio inglese alla fine degli anni ’60 decise di dedicarsi soprattutto alle Sport e alle monoposto lasciando il settore delle GT.

Quindi, lo sviluppo della 46 restò in mano ai piloti privati e probabilmente il suo vero potenziale restò inespresso. Tuttavia, questa “figlioccia” di Chapman troverà modo di prendersi una parziale rivincita partecipando a diverse competizioni, tra cui spicca la Targa Florio del 1968 con Helmut Marko, guadagnandosi così il pieno diritto di partecipare oggi alle gare per auto storiche. Fai-da-te La Lotus Europa del nostro servizio, nata nel 1970 e immatricolata 3 anni dopo, viene acquistata nel 2000 da Valerio Leone, attratto dalle caratteristiche tecniche della vettura che, sulla carta, si preannunciavano interessanti per un utilizzo sportivo. “Pur sapendo che probabilmente non avrei mai potuto contare su una vettura competitiva nei confronti dell’Alpine -ammette Leone-, volevo capire il suo reale potenziale, anche alla luce del peso minimo in fiche di soli 613 kg, che offre un certo vantaggio rispetto alla rivale francese. Inoltre, va sottolineato che i costi, sia di acquisto sia di preparazione, sono ben inferiori”.

Anche perché l’appassionato di Casorate Sempione (VA) ha deciso di effettuare di persona il restauro, peraltro completo perché la vettura si trovava in condizioni misere al momento dell’acquisto, diluendolo negli anni. Il tutto dopo aver frequentato un corso di meccanica motoristica presso la scuola professionale Alfa Romeo per colmare le proprie lacune in materia meccanica. “Proprio i professori mi hanno dato una grossa mano per calcolare con le formule matematiche le corrette lunghezze dei collettori di aspirazione, per i quali ho fatto realizzare un’apposita fusione”. D’altronde, visto che le velleità corsaiole della Europa furono soffocate sul nascere, anche in Inghilterra era difficile trovare evoluzioni. Tanto che la gabbia di sicurezza è stata studiata e realizzata appositamente dall’ingegner Ermolli (noto Costruttore di auto da corsa varesino, ndr), il quale “ha fatto una struttura eccezionale, che si integra perfettamente nella carrozzeria”, precisa Leone.

Nel frattempo la scocca in fibra era stata separata dal telaio, poi sabbiato per verificarne le condizioni, e ricondizionata. La preparazione del motore è stata eseguita secondo le specifiche del Gr. 4, con equilibrature delle masse alterne, sostituzione dei pistoni con altri più racing, lavorazione della camera di scoppio e sostituzione delle valvole con altre di diametro maggiore, anche se di poco dato il limitato spazio disponibile, lucidatura dei condotti, albero a camme più spinto, impianto di scarico quattro in uno e carburatori doppio corpo Weber da 40 mm. Un lavoro che ha portato la potenza a circa 130 Cv, lontano dalla Alpine che però può vantare un motore assai più evoluto. Sono stati revisionati anche l’impianto frenante e le sospensioni, con ammortizzatori regolabili in altezza, soprattutto al posteriore dove un punto debole veniva dai semiassi che forzavano sul differenziale creando problemi sia agli ingranaggi sia ai cuscinetti. Questo problema è stato risolto grazie ad un sistema “dual link”, in origine studiato da un appassionato americano, tal Jerry Blaine, che negli anni ’60 correva con la Lotus Europa, e poi ripreso dalla Banks Engineering, che con il puntone maggiorato limita anche la fragilità dei portamozzi in fusione.

Per il resto, il cambio pur avendo quattro rapporti ha una buona spaziatura e con il rapporto finale 9/32 consente alla Lotus Europa di superare i 200 km/h. Il tocco finale ha riguardato la verniciatura, che riprende la colorazione ufficiale dell’epoca. Il restauro è stato ultimato l’anno scorso e l’unica uscita, come “rodaggio”, è stata la gara in salita a Orvieto, che ha evidenziato qualche problemino di… gioventù. Ora la messa a punto prosegue con l’intento di intensificare l’attività in pista.

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