28 December 2015

Abarth 750 Coupé Zagato (1958) e 850 Record Monza (1960)

Dalla A alla Z. Come Abarth e Zagato: tra le due lettere è racchiusa una delle pagine più affascinanti dell’automobilismo sportivo italiano. Una miriade di versioni derivate dalla Fiat 600, imbattibili nella meccanica e nello stile...

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Un paio di pregiate coupé vestite da Zagato rappresenta un’occasione ghiotta per tornare in Calabria, al garage in cui Giorgio De Chirico custodisce le sue Abarth. Parliamo di 750 Coupé e 850 Record Monza, due step di uno stesso filone evolutivo tra i tanti in cui si cimentò Carlo Abarth, le derivate Fiat 600 carrozzate Zagato. Un filone nato in una chiacchierata tra lo Abarth ed Elio Zagato al Salone di Torino ’55. I due hanno bisogno l’uno dell’altro: Zagato ha lo stile ma gli mancano le prestazioni; Abarth vuole diventare costruttore ma in Fiat si ostinano a bollarlo come semplice “truccatore” di motori, negandogli la possibilità di acquistare a condizioni privilegiate i soli autotelai, opportunità concessa invece ai carrozzieri.

A meno di un anno da quell’incontro debutta la “Fiat 600 derivazione Abarth 750 GT carrozzeria Zagato”, realizzata montando sul pianale di serie Fiat una scocca in lamiera di alluminio poggiata su una struttura tubolare in acciaio; presentata a marzo ’56 a Monza, è spinta dal motore della 600, portato da 633 a 747 cc e potenziato a 44 CV, per un peso di soli 535 kg. Su strada tocca i 155 km/h e, con la tripletta di categoria alla Mille Miglia del ’57, mette rapidamente a tacere le critiche per il prezzo prossimo al milione e mezzo, oltre il doppio dell’utilitaria Fiat da cui deriva. Sorta di vettura-laboratorio, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 genera una lunga serie di modelli, ottenuti incrociando numerose varianti di carrozzeria e meccanica: propulsori e lamiere seguono talora variazioni di regolamenti di gara o di codici stradali, talora intuizioni aerodinamiche, talora richieste di maggiori prestazioni, da parte di clienti e dello stesso Abarth.

Basti pensare che lo stesso motore darà vita a varianti (nominali) 700, 750, 800, 850 e 1000, mono o bialbero, con più gradi di elaborazione. Per aggiungere ulteriore confusione, alcune vetture sono costruite espressamente per correre, altre per uso stradale, altre per entrambe le cose; altre ancora disputano qualche gara come ufficiali Abarth per essere poi rimesse in ordine e vendute “nuove” ai privati.

La 750 di De Chirico è la versione più vicina all’idea originale di coupé voluta da Carlo Abarth ed Elio Zagato. Immatricolata nel 1958 in Italia, dopo poco varca l’Atlantico per una breve carriera sportiva negli USA, da cui ritorna nei primi anni 80. Nel 2008 Giorgio l’acquista fresca di restauro con pezzi originali e con un semplice tagliando è già pronta per l’omologazione Asi. Oggi egli ne fa un uso accorto, tra escursioni turistiche e un po’ di regolarità; uniche licenze l’assetto leggermente rivisto, l’aspirazione coi tromboncini e l’aggiunta di un pannello isolante tra l’abitacolo e il motore, che scalda e “canta” sensibilmente.

DUE VERSIONI

A dispetto delle dimensioni minuscole la 750 si rivela sorprendentemente comoda e veloce, come abbiamo modo di verificare scalando la Sila: è agile, tocca i 160 km/h e scatta da fermo come una moderna utilitaria sportiva. Lo sterzo è diretto e preciso, la pedaliera amichevole e persino il cambio originale della 600 fa un figurone, con innesti fluidi e le marce esattamente lì dove ci si aspetta di trovarle. Colpisce poi una forte sensazione di solidità: pur trattandosi di una “derivata”, non si ha mai la percezione di qualcosa di posticcio o messo su con elementi adattati; la 750 è un’auto vera, che nulla invidia alle altre sportive dell’epoca.

Gli ampi e vistosi sedili bicolore, le cromature e le leziose pinnette posteriori confermano che nasce per un uso non soltanto agonistico. Bialbero La ben più rara 850 Record Monza è stata immatricolata per la prima volta nel 1960. Il modello nasce per seguire le variazioni dei regolamenti sportivi del biennio 1959-60, mentre la dicitura Record Monza è aggiunta per celebrare i record fissati sul circuito brianzolo dai prototipi aerodinamici costruiti su base Fiat 500 e 600 tra il ’56 e il ’60. Difficile stabilire quante ne siano state prodotte, sia per la prassi Abarth di utilizzare la stessa numerazione di casa Fiat, sia per le continue modifiche apportate nel tempo; di sicuro sono auto molto rare, perché soppiantate nel giro di pochi mesi dalle nuove “bialbero”, capaci di passare gli 8.000 giri; basti pensare che un 700 bialbero è ben più prestante di un 850 “mono”.

In particolare, per la 850 esistono due versioni dello stesso propulsore, entrambi derivati dal 750 della Fiat 600 D: l’esemplare di queste pagine nasce con la prima versione di 833 cc, ottenuta portando la corsa a 69 mm e lasciando l’alesaggio originale di 62 mm; con un rapporto di compressione di 9:1 e sostituendo albero motore, carburatore e scarico, la potenza è di 52 CV a 6000 giri. Prima che sulla coupé Zagato, esso debutta sulla Coupé Scorpione realizzata da Allemano su disegno di Michelotti. Portando l’alesaggio a 62,5 mm, la cilindrata salirà in breve agli 847 cc della 850 Record Monza SS da 57 CV.

Pur mantenendo la stessa impostazione di base della 750, esteriormente la 850 si presenta come una vettura molto diversa. La carrozzeria è modificata da Mario Colucci, che traccia linee aggressive, pulite ed equilibrate; spariscono la doppia gobba e i plexiglas sui fari anteriori, banditi dal codice della strada nel 1960. Il frontale perde “baffi” e rostri, i finestrini posteriori diventano fissi, pur mantenendo la funzione di sfiato grazie alla sagoma concava; il lunotto assume un profilo più regolare e tutto lo specchio di coda appare semplificato. I fari essenziali della 600 D sostituiscono quelli puntuti della Fiat 1100 e il grosso convogliatore d’aria sul cofano motore assume una nuova sagoma a imbuto.

Un design che passerà alla storia sia perché, in versione 1000 bialbero, vale a Zagato il Compasso d’Oro nel 1960, sia perché leggenda vuole che proprio il malumore generato dall’assegnazione del premio a Zagato e non ad Abarth, abbia spinto lo stesso Carlo a chiudere la collaborazione con la carrozzeria milanese e fare in seguito di testa propria. In realtà, come spieghiamo a parte, i motivi furono altri.

PUNZONATURE

La vettura fotografata, immatricolata per la prima volta a Catanzaro, ha un passato sportivo documentato che include la Targa Florio e altre gare di rilievo. Nel 1971 il secondo proprietario fa sostituire in Abarth il propulsore 833 con un 1000 per renderla più competitiva, facendo registrare la modifica sulla carta di circolazione; è il motore tuttora montato, forte di oltre 80 CV. Il terzo proprietario usa l’auto solo su strada, essendo ormai datata per correre ma, cercando di renderla più usabile, finisce per pasticciarla drasticamente, stravolgendo l’impianto elettrico e modificando fantasiosamente plancia e interni; il peggio lo esprime sulla carrozzeria, modificando la parte frontale per montare fari carenati tipo “750”. De Chirico la accoglie nel 2011 e, grazie al suo sterminato magazzino ricambi, in meno di sei mesi la restaura completamente riportandola alle condizioni d’origine; l’assenza dei paraurti e i cerchi in magnesio Campagnolo sono le uniche licenze che si concede, peraltro già presenti nelle foto degli anni 60. Durante i lavori non mancano le sorprese. Sulla totalità delle parti smontate, dai pannelli in alluminio, ai fregi, alle mostrine, addirittura alla tappezzeria, emergono punzonature col numero 33. Particolare che, assieme alla scoperta delle lamiere originali dei parafanghi anteriori sotto le aggiunte per i plexiglas, scongiura l’eventualità di restauri invasivi o tamponamenti gravi. Altro dettaglio rilevante è che, pur esistendo prove della prima immatricolazione della vettura come 850, la scocca presenti particolari tipici delle vetture bialbero, quali il telaio rinforzato, la concavità nel parafiamma per ospitare il motore maggiorato (chiamata in gergo “pugno”) o la cosiddetta “padella” sotto il serbatoio benzina.

IDEA
L’idea di De Chirico è che la vettura sia nata con motorizzazione 750 bialbero, magari per correre da ufficiale, per essere poi allestita e venduta come 850, prassi all’epoca piuttosto comune in Abarth per accontentare in fretta clienti impazienti. Un’ulteriore indizio è la scoperta, su una delle paratie laterali del vano motore, della punzonatura “1-5-1960 Monza”, data corrispondente a un’edizione della “12 ore” che ha visto cinque coupé Zagato iscritte, tra cui quella dell’equipaggio Sala/Rigamonti/Zagato, vincitore nella classe 700 cc. Su strada la 850 è affilata e diretta; l’assetto è piatto e i sedili contenitivi. Solo lo sterzo, non ancora perfettamente a punto, risulta meno preciso di quello della più rodata 750. Il motore in compenso fa sentire la cavalleria in più: azzardiamo con l’acceleratore e in un attimo siamo sulla soglia dei 7000 giri; allungo e ripresa sono sorprendenti anche per una bestiolina che, opportunamente aiutata da un rapporto finale 9/41, uno scarico originale Abarth T81 e un carburatore Weber doppio corpo da 36, sappiamo capace di oltre 180 km/h!

Rispetto alla sorella minore, la 850 esprime un carattere nettamente più rude e rabbioso, adatto più alla pista che alle passeggiate; lanciarla tra i tornanti di montagna e sentire l’ululato del marmittino rompere il silenzio di un assolato mattino invernale è un piacere viscerale. Se poi De Chirico dovesse aver voglia di scendere sulla costa per una più tranquilla -ma non troppo- passeggiata sul lungomare, c’è sempre la 750.

Fine a tempo di record Nella sua ossessione per i record, e sempre per farsi notare dai vertici Fiat, tra il 13 e il 20 febbraio 1958 Carlo Abarth conquista sei record internazionali a Monza con una 500 Elaborazione Abarth da 26 CV per 110 km/h. La Fiat Nuova 500, le cui vendite fino a quel momento languivano, diventa “l’utilitaria più veloce del mondo” e i numeri decollano. Così Abarth riesce finalmente ad avere l’agognato contratto di collaborazione con la Casa. Il passaggio da “truccatore” a costruttore segna la fine del rapporto tra lo Scorpione e Zagato, rapporto già deteriorato dal fatto che l’ufficio stampa del carrozziere riusciva ad accaparrarsi sulle pagine dei giornali buona parte merito delle vittorie ottenute dalle piccole 750, oscurando quasi del tutto Abarth.

PICCOLE DA BATTERE

Le derivate Fiat 600 di Carlo Abarth sono le auto da battere sui circuiti di tutto il mondo, non soltanto nella propria categoria. Nel 1956, anno del debutto della prima 750 Zagato, Enrico Carini accumula 25 vittorie nella classe 750GT vincendo il Trofeo della Montagna. Nel ’57 le vittorie sono 28, Mille Miglia compresa, con la vittoria di categoria nel Campionato Italiano Velocità e di nuovo nel Trofeo della Montagna, risultato ripetuto nel ‘58 con cinquanta vittorie. Il ’59 vede il debutto sui circuiti americani ad opera del Roosevelt Team (di proprietà di uno dei figli del presidente) dove le piccole Zagato conquistano sempre i primi posti di classe, anche a Sebring e Daytona. Prinoth vince Campionato Italiano e Trofeo della Montagna, e il medagliere assomma 96 vittorie di classe e nove assolute.

Nel 1960 la Federazione camebia le regole del gioco, abbassando a 700 cc la cilindrata della seconda divisione. Ma Abarth in poche settimane sfodera la nuova 700 bialbero, mentre la 750 continua a gareggiare, vincendo il titolo, nella classe fino a 850 cc, accompagnato dalla vittoria anche nell’omologo campionato statunitense di classe H Production, sempre col Roosevelt Team. Il 1961 porta 122 vittorie di classe tra le bialbero 700 (che vincono il campionato GT), 850 (prima di classe a Le Mans) e 1000; queste arrivano in doppietta al Nurburgring (categoria GT) nello stesso 3 settembre che vede, sullo stesso circuito, la celebre tripletta delle 850TC berlina nella Turismo 850.

Nel 1962 nel Campionato Mondiale Costruttori GT si mescolano di nuovo le carte, tra nuove divisioni, classi e sottoclassi, ma la musica non cambia: le 1000 bialbero vincono tutte le prove della loro categoria e si aggiudicano senza sforzo il titolo iridato, mentre nel campionato italiano vanno alle vetture dello Scorpione le classi fino a 700, 850 e 1000 cc. Nel ‘63 le vittorie sono 445, il bottino è di un altro titolo mondiale GT, nuovamente in tutte e tre le sottoclassi. Il 1964 porta altre 538 vittorie, il titolo italiano Turismo nelle classi 850 e 1000 e quello GT nelle 700 e 1000, stessi titoli conquistati anche nel ’65, con l’aggiunta del Challenge Europeo Turismo fino a 1000 cc, conquistato anche nel ’66 da Giancarlo Baghetti, accompagnando i titoli italiani Turismo fino a 850 e 1000 e il titolo nazionale nella categoria Sport.

La storia si ripete, con titoli italiani ed europei conquistati con regolarità quasi noiosa, fino al 1971, anno in cui l’Abarth entra nell’orbita Fiat. Ne resta fuori il Reparto Corse che, supportato da Osella e correndo ancora con i vecchi motori “derivati 600” progettati quasi vent’anni prima, si aggiudica i titoli italiani 1972 nelle classi 850 e 1000 e gli europei, sempre 850 e 1000, nel 1973.

A TUTTA VELOCITÀ
La ricerca di eccellenza e prestazioni ha contraddistinto tutta la carriera del personaggio Carlo Abarth; la vastità di modelli prodotti la dice lunga sulla sua perenne insoddisfazione e sulla sua continua ricerca del massimo. Niente lo appaga più di una vittoria o, meglio ancora, di un record. Traguardi che oltre a saziarne, almeno temporaneamente, l’ego, sono una manna per la notorietà e le vendite. Nel 1956 Carlo fornisce il 750 da 44 CV a Bertone, che lo monta in una monoposto aerodinamica alta 104 cm e pesante appena 385 kg, con un cupolino centrale che prosegue in una lunga pinna stabilizzatrice. Supera i 190 km/h e, pilotata da Umberto Maglioli, Mario Poltronieri, Remo Cattini e Alfonso Thiele, tra il 17 e il 29 giugno ’56 conquista ben dieci primati mondiali nella classe H fino a 750 cc. Il 25 luglio, con un motore di soli 500 cc, stabilisce tre record internazionali nella classe I, e il 12 ottobre altri cinque. Il 9 agosto, la stessa vettura, ma con motore 800, strappa ai cronometri altri sei primati nella classe G. Nel 1957 il testimone delle Abarth da record passa a Pininfarina: il nuovo prototipo 750 somiglia molto a quello di Bertone, ma è più grande e pesante (510 kg) e ha ben tre pinne, due sui parafanghi posteriori e una, più piccola, sul padiglione a goccia. Stavolta si parla di velocità prossime ai 200 km/h.

Tra il 24 e il 27 luglio 1957 i piloti Cabianca, Cattini, Guarnieri, Manfredini e Poltronieri conquistano ben 15 nuovi record nella classe H. Il 25 ottobre, nuova sessione a Monza e tre nuovi primati grazie a un motore bialbero alimentato da due inediti carburatori Weber 37DCL3, da 61 CV. Alla guida, Paul Frère e ancora Guarnieri. Un anno esatto dopo debutta sul circuito brianzolo il nuovo prototipo Pininfarina, motorizzato ancora col bialbero 750 portato a 75 CV. I nuovi record sono cinque, alla guida ancora Cattini. Il 1959 trascorre nel tentativo, non completato, di realizzare una vettura per il record di velocità assoluto, mentre il 22 settembre 1960 debutta una nuova monoposto, realizzata con criteri aerodinamici differenti. Nella classe 750 Umberto Maglioli porta a casa altri quattro primati, mentre con la stessa vettura, equipaggiata con motore 1000 bialbero da 108 CV, tra il 28 settembre e il 1° ottobre i nuovi record sono otto, tra cui quello mondiale sulle 72 ore

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