Ci sono più modi di valutare l’attuale stato dell’arte del car design. Da una parte si vede l’arrivo di una vera tempesta di novità tecnologiche in grado di cambiare a fondo sostanza ed aspetto dei mezzi di trasporto; dall’altra rimane una visibile difficoltà nel trovare il linguaggio estetico giusto, nuovo ed emozionante per vestire tali evoluzioni tecniche. Il recente Mondial a Parigi ci restituisce proprio questo quadro, un’istantanea in cui si percepisce entusiasmo, l’ingrediente più importante, ma anche tanti ripensamenti a livello di stile e il solito effetto scia di alcuni trend che finiscono per uniformare troppi modelli di marchi diversi. In questo scenario si può restare ammaliati da linee perfette ma un po’ conservative, così come essere disturbati da alcuni eccessi difficili da giustificare.
MIATA
Nel primo filone citiamo volentieri la riuscita MX-5, che cambia ma non troppo. Come sempre. Il modello da sostituire era perfetto, prima dell’ultimo restyling, grazie ai volumi geometrici regolari ma morbidi e soprattutto per merito dell’assoluta coerenza fra forma generale e dettagli. Oggi il nuovo corso stilistico esplorato con la Shinari si fa spazio sotto le candide lamiere della precedente generazione e inizia a innovare da dentro, dando tutti gli spigoli e le tensioni che mancavano per un aspetto decisamente più dinamico. Perde i bei parafanghi applicati, in favore di un trattamento della fiancata più banale, da muscle car che si addice meno al carattere sobrio da gentleman driver che l’ha sempre contraddistinta. Quello che acquista è un ritorno ad un look di sapore anni settanta, questa volta con l’intervento stilistico più vistoso, sul posteriore.
Ora il volume di coda ha uno spoiler ottenuto con un incavo orizzontale in cui sono inseriti i gruppi ottici; una soluzione certamente più sporca di prima, ma molto gratificante e ben disegnata, forse non originalissima pensando ad Alfa Romeo, Bmw e altre. Come sulla Jaguar C-X16, sono abbinate due figure: il cerchio per evocare le sportive italiane e una pinna esterna sottile, un’aggiunta che cavalca i trend attuali futuristici che prediligono uno sguardo freddo e minaccioso.
Lo stesso tipo di spoiler caratterizza la vista posteriore dell’Audi TT Sportback, un ottimo esercizio di stile in cui si combina la purezza del modello originale con i nuovi stilemi geometrici e ricchi di dettagli obliqui della direzione di Wolfgang Egger. Questa coupé quattro porte si fa notare per la pulizia complessiva che pochi marchi avrebbero scelto o saputo ottenere per una vettura sportiva. In un’epoca di eccessi ben venga una scelta come questa. La coerenza tra vista frontale e posteriore è alta, ad eccezione della scelta un po’ Saab di inserire il logo dei quattro anelli sopra la sottile bacchetta centrale dei gruppi ottici, in una zona che appare compressa e probabilmente a rischio di stancare in breve tempo.
L’altra piccola critica che si può fare a questa elegante sportiva è l’aspetto un po’ massiccio del paraurti, sensazione enfatizzata proprio dallo sviluppo orizzontale a tutta larghezza dei fari. Peccato, perché Audi fa parte di quei marchi che hanno colto per prime le potenzialità di una linea di cintura più bassa, chiara ispirazione alle belle automobili del ventennio cinquanta-settanta. In ogni caso l’originalità del posteriore assicura alla Sportback di essere sufficientemente diversa ed esclusiva della concorrente casalinga A3 Sedan. Il tema di uno stile aggraziato là dove non te lo aspetti si ritrova in casa Mercedes.
COERENZA
La AMG GT, sia chiaro, ha muscoli e prese d’aria al loro posto, ma la carrozzeria è morbidissima e sinuosa, forse la più vicina all’icona SL Gullwing. Rispetto alla SLS, ad esempio, la GT ha gli stessi tratti somatici: fari grandi e verticali, una bocca arrotondata e un trattamento generale organico, fino al taglio del finestrino laterale a pinna che raccorda il volume di coda sfuggente e visivamente silenzioso. Anche qui troviamo una grande coerenza fra le varie viste, come ad esempio nel profilo degli spoiler inferiori che scendono alle estremità per dare enfasi rispettivamente alle prese d’aria dei freni e ai terminali di scarico. I fari sottili posteriori sono una scelta intelligente anche se potrebbe sembrare poco innovativa. Non solo si evitano inutili barocchismi, ma si valorizza meglio la vista principale dell’auto che è, e deve rimanere, quella anteriore: una lezione di car design che è sempre stata parte integrante del successo dello stile italiano e che rientra nella mentalità mediterranea di sapersi fermare prima degli eccessi.