Torniamo alla fantasia nel design: come nasce un’automobile oggi da questo punto di vista?
“Nasce dalla coralità -afferma Giolito-. E dalla plausibilità. In assenza di quest’ultima, presentare un’ipotesi è scorretto nella forma, prima ancora che nella sostanza. E la plausibilità viene da un’insieme di esigenze che sono all’interno di un’azienda: non soltanto design, ma anche tecnica, tecnologia, comunicazione”.
E le omologazioni?
“Anche queste -conferma Giolito-. Le omologazioni hanno a che fare con la plausibilità di un modello sia dal punto di vista tecnico sia da quello della comunicazione. Il progetto della 500X, per esempio, doveva essere conforme alle norme EMEA (Europa e Medio Oriente, ndr) come a quelle NAFTA (Nord America-Messico, ndr). Una cosa non semplice”.
Una cosa alquanto complessa. Facciamo un esempio: una volta che si è partiti con un’idea di prodotto che le ricerche di mercato hanno confermato, come si procede nella definizione generale del progetto che deve portare a quel prodotto? Quali strumenti si usano?
“Ci si riunisce -racconta Giolito - per stabilire i perimetri di ciascun settore. Dopodiché si inizia a ragionare sul Mood Board”.
Che sarebbe?
“Il tabellone dell’ispirazione. Una specie di quadro in cui sono raffigurati modelli, poniamo Fiat, del passato e del presente. I più significativi. Serve per individuare una linea comune nella storia, un family-feeling che aiuti a delimitare il raggio d’azione entro cui muoversi, il perimetro di lavoro”.
Si può dire che rappresenta il patrimonio dell’azienda, l’eredità dei valori, che non deve mancare anche nei modelli nuovi?
“Sì, si può dire così”.
Questo ci riporta ai valori della 500 di Giacosa tramandati a quella di Giolito. Ma Roberto Giolito, se dovesse dire un’automobile che gli piace più di altre, del passato, quale sceglierebbe?
“Mi piace molto la Dino 246 GT -risponde dopo averci pensato qualche istante-. Sia per il meraviglioso disegno in sé, sia per il concetto di trasparente sportività che esprime. Un motore mezzo Ferrari e mezzo Fiat, quindi prestazionale ma meno impegnativo del 2 litri, più semplice sotto molti aspetti. È una macchina “what you see is what you get”, per dirla con parole care agli informatici, che non ti promette più di quanto può darti”.