13 November 2014

Epoca, Condor Aguzzoli

Ci sono automobili che attraversano la storia come fugaci splendori, meteore che spandono luce intesa e accendono i sogni. Poi d’improvviso evaporano....

Introduzione


Ci sono automobili che attraversano la storia come fugaci splendori, meteore che spandono luce intesa e accendono i sogni. Poi d’improvviso evaporano. Non passa molto tempo e svanisce anche il ricordo. Così fu per la Condor Aguzzoli. All’inizio degli anni Sessanta destò meraviglia il coraggio dei costruttori che misero il motore dietro quando tutti lo mettevano davanti e stupì la stupenda carrozzeria, dove si vedeva la mano dell’artista. Nata per dominare le corse, fallì l’obiettivo: perciò finì nell’oblio. Quando si accese la passione per le auto storiche molti si ricordarono di lei, anche noi di Automobilismo d’Epoca. La prima traccia per scoprire quale fosse stato il suo destino la trovammo quasi per caso nella stazione di servizio Agip di Modena Nord. Facendo rifornimento, non senza sorpresa, riconoscemmo nel gestore dell’impianto Umberto Masetti, il primo motociclista italiano campione del mondo della classe 500. Conquistò l’alloro iridato quando aveva 24 anni, nel 1950 con la Gilera, dopo una dura battaglia con l'inglese Geoff Duke, poi bissò il risultato nel 1952 battendo Leslie Graham. Mentre la fila delle automobili in attesa del pieno s’allungava dietro la nostra, Masetti ci deliziò con episodi della sua vita avventurosa, nella quale corse con tutto ciò che aveva un motore e le ruote: moto, go-kart, auto. Una illuminazione improvvisa ci ricordò che Masetti guidò anche la Condor Aguzzoli. Spostata l’auto per non essere d’intralcio, ripercorremmo con il ritrovato Masetti l’intera storia della bella coupé, della quale tenne a sottolineare che non fu solo pilota, ma anche direttore sportivo.

Il prototipo

L’idea del prototipo nacque a Parma dall’entusiasmo di Luigi Bertocco, ex collaudatore della Ferrari, e di Giovanni e Sergio Aguzzoli, padre e figlio, ricchi commercianti di salumi e concessionari dell’Alfa Romeo a Parma per passione delle automobili. Fu però a Modena che l’idea iniziò a concretizzarsi materialmente. La grande novità del prototipo doveva essere il motore posteriore-centrale, all’epoca del tutto nuovo per una biposto italiana. Alla fine degli anni Cinquanta gli inglesi avevano riscoperto questa disposizione meccanica per le monoposto. Nel 1960 Enzo Ferrari aveva cambiato idea sui “buoi che tirano il carro, non lo spingono”, l’anno dopo la Ferrari 156 aveva vinto il campionato del mondo Formula 1 e l’impresa aveva legittimato il motore posteriore-centrale in Italia, ma per i costruttori nostrani una concezione di questo tipo era ancora tutta da scoprire. Con grande coraggio Luigi Bertocco e gli specialisti modenesi Giorgio Neri e Luciano Bonacini, provenienti dal disciolto reparto corse della Maserati, realizzarono il telaio tubolare destinato a ospitare il motore Alfa Romeo Giulietta SZ , fornito dagli Aguzzoli, e un cambio Citroën ERSA, quello della Citroën ID 19 a trazione anteriore girato di 180° e modificato per le monoposto inglesi.
L’ambiente delle corse modenese seguì con interesse ogni fase della realizzazione, anche perché l’esperienza alla fine sarebbe andata a vantaggio di tutti. Ospiti illustri visitarono l’officina di Neri e Bonacini, fra questi gli ingegneri Franco Rocchi e Walter Salvarani della Ferrari, che offrirono la loro consulenza, e l’allora giovanissimo Giampaolo Dallara, che osservò con attenzione, parlò poco e fece tesoro di ciò che vide. Ci fu anche uno sprovveduto che trovò da ridire sulla qualità dei tubi impiegati: “Tubo da acqua - sentenziò – roba da poveri”. Invece Neri e Bonacini sapevano benissimo ciò che facevano. Se avessero impiegato tubi di più nobile lega avrebbero aggravato il problema delle tensioni nei punti delle saldature, invece l’acciaio povero, deformandosi, avrebbe assorbito le tensioni e quindi evitato le rotture.

A Monza la prima vittoria

Fra chi si interessò all’impresa ci fu anche la direzione dell’Alfa Romeo, o almeno una parte di essa. La Casa del Biscione stava attraversando un momento d’euforia che risvegliò il desiderio di tornare alle corse, ma senza distrarre energie dalla produzione, quindi appoggiandosi a un collaboratore esterno. Il concessionario di Parma poteva essere un candidato. La carrozzeria del prototipo fu realizzata a Modena, da Piero Drogo, titolare della Sport Car. L’auto completa fu pronta per le prove nell'autunno 1963. Fu battezzata Aguzzoli dal nome della concessionaria e Condor dal soprannome di Sergio Aguzzoli. La collaudò Luigi Bertocco sull’autodromo di Modena con risultati incoraggianti. Ciò spinse i costruttori a iscriverla alla Coppa Fisa, in programma a Monza il 14 novembre 1963. La storia ricorda questa gara perché segnò il debutto delle Alfa Romeo Giulia TZ . Per l’occasione erano presenti molti tecnici dell’Alfa Romeo. Il pilota designato a guidare la Condor, all’ultimo momento decise di pilotare una Giulia TI Super della Scuderia Sant’Ambroeus. Nonostante la mancata partenza, la Condor attirò l’attenzione dei dirigenti del Reparto Esperienze dell'Alfa Romeo. L'ingegner Nicolis e i suoi collaboratori ne ammirarono la meccanica. Tantò bastò perché un giornalista presente riferisse che l’Alfa Romeo era sul punto di attrezzare presso la Aguzzoli un reparto corse per sviluppare la Condor. Nella realtà i giochi erano già fatti. Nel tempo trascorso fra l’avvio della costruzione della Condor e il suo completamento, l’Alfa Romeo aveva trovato il partner esterno che cercava: la Autodelta, fondata allo scopo dall’ing. Carlo Chiti e dai fratelli Chizzola, concessionari Alfa Romeo di Udine. In teoria l’accordo con l’Autodelta avrebbe dovuto fermare l’avventura della Condor Aguzzoli.
Non fu così perché un altro autotelaio era già pronto per sviluppare una nuova vettura che rappresentasse un passo avanti rispetto alla precedente.

Una seconda Condor Aguzzoli..

Le principali novità furono il motore dell’Alfa Romeo Giulia TZ, il cambio Hewland e la carrozzeria in vetroresina concepita e realizzata a Sant'Ilario d'Enza dallo scultore Franco Reggiani. Nella versione originale la seconda Condor Aguzzoli aveva un musetto di grande effetto estetico. Era molto appuntito e la presa d’aria per il raffreddamento era invisibile perché nascosta nella parte inferiore. Verniciata di nero con filetti rossi e con gli interni rivestiti di pelle rossa, la vettura fu esposta al Salone di Parigi. Successivamente fu provata su strada. Si vide allora che l’elegante soluzione adottata per il musetto impediva al radiatore di “bere aria” (in gergo si diceva così). Perciò si decise di modificare il frontale rialzandolo e dotandolo di una presa d’aria di tipo convenzionale. Nell’ occasione la vettura fu riverniciata di rosso e fu equipaggiata con nuovi cerchi di 14 pollici.
La nuova Condor e la vecchia debuttarono in corsa insieme nella gara in salita Trento-Bondone il 12 luglio 1964. Luigi Bertocco, con la nuova, si classificò settimo nella categoria Prototipi, Umberto Masetti con il vecchio modello maggiorato a 1600 cc si classificò sesto. La settimana successiva le due Condor corsero la gara in salita Cesana-Sestriere: Masetti si classificò di nuovo sesto, Bertocco si ritirò. Ma Giovanni Aguzzoli voleva vedere le sue Condor in pista entro l’anno e le iscrisse all’ultima gara del 1964, la Coppa Fisa che si correva l’otto dicembre a Monza. Luigi Bertocco guidò il nuovo modello, Ernesto Brambilla, ex motociclista e pilota di Formula 3 e molto a suo agio sulla pista della città natale, guidò il vecchio modello. Brambilla si classificò primo di classe, Bertocco giunse secondo.
Questo successo fece ben sperare per il 1965, invece nella gara d’apertura, la 1000 Km di Monza, che si corse il 25 aprile, le due Condor di Ernesto Brambilla/Luciano Selva e di Enrico Pinto/Giancarlo Galimberti non ebbero fortuna. La prima terminò la corsa con un testa coda al 31° giro, la seconda dichiarò forfait addirittura prima della partenza. Dopo l’insuccesso, la cilindrata della Condor di punta, la seconda costruita, fu portata a 1730 cc e finalmente arrivò una bella affermazione nella corsa in salita Castione Baratti - Neviano Arduini, dove il 20 giugno 1965 Luigi Bertocco riuscì a battere le Abarth 2000 di Claudio Corini e Alfonso Brini nella categoria Prototipi fino a 2 litri e dette una grande gioia ai costruttori.

Le ultime gare..

A questo punto però gli Aguzzoli, che nell’avventura avevano già investito 120 milioni di lire (un enormità per l’epoca), considerarono che un ulteriore sviluppo della vettura avrebbe richiesto un’altra montagna di denaro, e sarebbero stati soldi buttati perché non avrebbero potuto recuperarli girando il progetto all’Alfa Romeo. Perciò sospesero la partecipazione alle corse. Tuttavia nel 1966 la Condor corse ancora. La pilotarono alcuni piloti amici di Sergio Aguzzoli, che la ebbero in prestito per qualche gara a loro richiesta, in altre parole senza un preciso programma agonistico: Roberto Bertuzzi si classificò primo nella salita del Colle Sant’Eusebio il 2 giugno, Iginio Scarpanti disputò la salita Trento - Bondone il 10 luglio, Domenico Lo Coco corse la Abbadia San Salvatore - Vetta Amiata il 7 agosto, “Madonnina” disputò il Trofeo Valcamonica il 21 agosto e infine il 28 agosto Domenico Lo Coco concluse la carriera agonistica del modello con una bella vittoria di classe nella salita Caprino – Spiazzi. Dopo d’allora le Condor scomparvero dalla scena.

Prima di congedarci da Umberto Masetti domandammo che fine avessero fatto i due esemplari costruiti. Non senza imbarazzo riferì che la Condor modello 1964 probabilmente era ancora integra, ma con altrettanta probabilità era nascosta da qualche parte perché divenuta oggetto di contesa fra Sergio Aguzzoli e Luigi Bertocco, che ne vantavano entrambi la proprietà per avervi investito tempo e denaro. L’altro esemplare, il primo costruito, era stato smembrato: il motore era finito in un’altra auto, la carrozzeria d’alluminio era servita da insegna sul tetto di un’officina prima di marcire e il telaio era stato modificato per realizzare una Sport biposto. Così stando le cose, decidemmo di non entrare nel contenzioso fra Aguzzoli e Bertocco e smettemmo di cercare la Condor.

Nascosta in una piccola carrozzeria...

Poco dopo, un ragazzo che a tempo perso vende ricambi e rarità nei mercatini, trovò una coppa dell’olio in elektron e alcuni altri pezzi di un’Alfa Romeo TZ in una piccola officina sperduta nelle campagne di Parma. I pezzi erano come nuovi e il ragazzo, che è un tipo sveglio, capì che sotto c’era qualcosa. Infatti, nella Giulia TZ il motore è montato inclinato e ha bisogno di una coppa particolare, in altre parole con una parete più alta dell’altra. Nella Aguzzoli il motore era dritto: ecco da dove poteva venire quella coppa probabilmente scartata in favore di una coppa da Giulia GTV.

Lo stesso ragionamento si poteva applicare ad altri pezzi. Il ragazzo pose quindi alcune domande mirate sull’origine dei pezzi. A queste il proprietario dell’officina rispose chiudendosi in un imbarazzato mutismo. Dimostrazione evidente che sapeva qualcosa, ma non poteva parlare. Prima di lasciare l’officina, il ragazzo pagò quanto richiesto per i pezzi e fece intendere al meccanico che, qualora si fosse trovata la Condor, l’avrebbe pagata senza battere ciglio.


Intanto Luigi Bertocco aveva lasciato la vita terrena. In una seconda visita al meccanico di campagna le domande del ragazzo sveglio trovarono più considerazione e, per farla breve, riuscì a combinare un appuntamento con Sergio Aguzzoli. Capì che a lui, anche se non ne aveva bisogno, ancora bruciavano i soldi buttati al vento nell’avventura della Condor e considerò che offrendogli la stessa cifra maggiorata di congrui interessi, poteva pareggiare il conto con la storia e portarsi a casa la macchina. La trattativa si concluse abbastanza in fretta, ma non senza qualche attimo di brivido da parte del ragazzo che vide Sergio Aguzzoli sparire per qualche giorno dopo avere incassato la caparra.

La Condor Aguzzoli numero due era imboscata in una piccola carrozzeria di campagna ancora in discrete condizioni, ma con il cambio smontato e con il motore 1600 montato in origine invece dell’ultimo 1730 che aveva preso il volo. L’attuale proprietario, il terzo dopo Aguzzoli e il ragazzo sveglio, che in realtà è stato solo un intermediario, ha intrapreso un restauro che ha richiesto un certo tempo perché ha voluto salvare quanto più possibile l’originalità. Infatti, è noto che certe volte è più facile ricostruire un pezzo ex novo piuttosto che cercare di aggiustarlo quando è in cattive condizioni. Ad ogni modo il risultato del restauro è splendido. Per constatarlo basta osservare le immagini.

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