14 April 2014

Cavalieri del rischio come Schumi

Quando smettono di correre i piloti professionisti sono attratti da nuove emozioni per mantenere elevato il livello di adrenalina che li ha caratterizzati nelle loro imprese sportive. Una scelta pericolosa, che a volte si è rivelata fatale. Danilo Castellarin

Cavalieri del rischio come schumi

Mentre gli sportivi di tutto il mondo trepidano per il futuro di Michael Schumacher, la storia dell’automobilismo ricorda l’attrazione fatale dei “cavalieri del rischio” verso le prove più difficili ed estreme, con una frequenza di incidenti pericolosi, spesso fatali, dopo il ritiro dalle corse. Forse perché, per un pilota professionista abituato alle emozioni forti, staccare la spina della velocità è una delle prove più dure. Difficile vivere senza adrenalina, diventata ormai un’abitudine. Come per Nino Farina, il primo campione del mondo nella storia della F.1. Vinse il titolo nel 1950, al volante di una rossa Alfa Romeo 158, la mitica Alfetta. Impenitente ‘tombeur de femmes’, amava correre con un sigaro cubano fra le labbra. Suo padre Giovanni fu il fondatore degli Stabilimenti Farina. In corsa colleziona spericolati incidenti, fratture a dozzine, mesi di degenza negli ospedali di tutto il mondo. Ma se la cava sempre. Trova la morte il 30 giugno 1966, qualche anno dopo essersi ritirato, schiantandosi a fortissima velocità presso Aiguebelle (Chambery) , uscendo di strada con la sua Ford Cortina Lotus. Era diretto a Reims per assistere al Gran Premio di Francia. I testimoni videro una saetta prendere una curva a velocità improponibile, prima di udire un gran botto. Qualche anno prima un altro campione del mondo, l’inglese Mike Hawthorn, era morto dopo la conquista del titolo in un gravissimo incidente stradale sotto la pioggia battente. Il britannico correva duro e lambiva l’estremo in ogni corsa insieme all’amico-rivale Peter Collins, che vide uscire di pista (e perdere la vita) il 3 agosto 1958 al Nurburgring. Correvano entrambi per Ferrari. Quello stesso anno Mike vince il titolo e si ritira, dopo una carriera costellata di incidenti. Ma non si gode a lungo il tempo libero perché il 22 gennaio 1959, nei pressi di Guildford, ingaggia un duello con Rob Walker, figlio di Johnnie Walker, il "re del whisky". Si schianta contro un cavalcavia dopo aver perso il controllo della sua Jaguar 3.4. Gli mancavano tre mesi per compiere trent’anni. Difficile divorziare dal rischio se per anni è stato l’attrazione fatale della tua esistenza. Patrick Depailler era un grande pilota francese, correva con le Alfa F.1. Ma a quelle emozioni aggiungeva spesso anche quelle delle traversate delle Alpi in deltaplano. Con il quale precipita nel 1979. Riesce a cavarsela. Per poco. Perché il primo agosto 1980 si ammazza ad Hockenheim su un’Alfa durante una serie di prove effettuate insieme al bresciano Bruno Giacomelli. Un altro cuore da corsa è quello di Didier Pironi, parigino, logorato dal confronto in ogni gran premio contro il compagno di squadra Gilles Villeneuve, alfiere della Ferrari. Nel 1982, a Imola, se ne infischia delle direttive dei box e all’ultima curva ghermisce Gilles che muore pochi giorno dopo, a Zolder, nel tentativo di recuperare il suo primato in scuderia. In Canada la sua Ferrari si spegne e rimane piantata in mezzo alla pista e Riccardo Paletti , che parte in ultima fila, non riesce ad evitarla. L’urto è fatale per il pilota italiano. Il destino crudele di Pironi, quasi una maledizione, continua al Gran Premio di Germania quando il francese tampona Prost, decolla e precipita sulla pista. Lo soccorre Nelson Piquet che, vedendo le condizioni di Pironi, dà di stomaco: “Didier urlava per il dolore e la paura. Ho capito che temeva il fuoco e gli dissi di stare tranquillo perché non c'era benzina intorno. Mi sono terrorizzato quando ho visto un osso della gamba uscire dalla tuta. Ho provato a rassicurarlo ma toccandogli le gambe ho sentito che erano in poltiglia”. La guarigione fu lenta, ma riuscì a cavarsela. Fino al 23 agosto 1987 quando, piantate le corse in auto, trova la morte in offshore insieme agli altri due componenti del suo equipaggio (Bernard Giroux e Jean-Claude Guenard), in un ennesimo tragico incidente durante la gara Needles Trophy Race, al largo delle coste dell’isola di Wight.

Graham Hill precipita nella nebbia

Aveva atterrato molte volte a Elstree con il suo jet privato il due volte campione del mondo Graham Hill. Quel pomeriggio però la visibilità era prossima allo zero causa nebbia e la torre di controllo lo aveva ripetutamente invitato a trovare una pista più sicura. Lui atterrò ugualmente, o almeno ci provò. Era sabato 29 novembre 1975 e dopo una serie di prove a Le Castellet con il team Embassy-Hill aveva voglia di tornare a casa. Elstree era l’aeroporto più vicino alla sua villetta, dove lo aspettavano la moglie Bette e i figli Brigitte, Samantha e Damon. Non li rivedrà più. Nel 1996 Damon è diventato campione del mondo di Formula 1. Graham e Damon sono l'unica coppia padre-figlio ad aver vinto entrambi almeno un mondiale di Formula 1. Dopo la sua morte, gli vennero dedicate, tra le altre, una strada nella città di Silverstone, sede dell'omonimo tracciato, una curva della pista di Brands Hatch e una scuola materna a Lusevera, in Friuli. Graham Hill è stato l'unico pilota al mondo ad avere vinto la 500 Miglia di Indianapolis , la 24 Ore di Le Mans e il campionato del mondo di Formula 1 . Il pilota inglese si era ritirato dalle competizioni ed era diventato team manager del team “Embassy Hill”. Con lui viaggiavano il progettista Andy ‘Pencil’ Smallman, tre meccanici, Ray Brimble, Tony Alcock, Terry Richards, e Tony Brise, stella nascente dell’automobilismo britannico.DC

Strada fatale per Mike Hailwood

Correva forte tanto in moto quanto in auto, ma il pubblico lo chiamava “Mike the bike”. Spregiudicato e coraggioso, a Kyalami, nel 1973, aveva salvato la vita a Clay Regazzoni, imprigionato nelle fiamme della sua Brm. Dopo innumerevoli prodezze, si era ritirato. Il 21 marzo 1981 aveva caricato sulla sua Rover i figli Michelle e David per andare ad acquistare la cena: fish and chips, che tanto piacevano ai suoi due bambini.Un camionista fece inversione di marcia, all’improvviso. L’impatto con la Rover fu inevitabile. La figlia Michelle, 9 anni, morì sul colpo, Mike sopravvisse due giorni al Birmingham Hospital, mentre il piccolo David, 6 anni, riuscì a cavarsela. Il camionista venne condannato al pagamento di una sanzione amministrativa di 200 sterline.DC

La picchiata estrema di David

Diceva sempre che un uomo a quarant’anni è vecchio decrepito. Evidentemente qualcuno della Direzione Celeste prese nota e fu accontentato. Morì a quarant’anni David Purley, pilota britannico insignito della George Medal dopo il coraggioso tentativo di salvare l’amico Roger Williamson morto fra le fiamme della sua March al G.P. d’Olanda (Zandvoort) del 1973. Purley è anche ricordato per essere sopravvissuto alla più violenta decelerazione conosciuta in F1, a Silverstone, dove sulla sua Lec si bloccò l’acceleratore. Finì fuor strada alla curva Becketts e decelerò da 173,8 a 0 km/h in sessantasei centimetri: una decelerazione vicina ai 180G , che gli costò diverse fratture e parecchi mesi di degenza.Tornò brevemente alle corse nel 1979 in Formula Aurora. Il 2 luglio 1985, alla ricerca di nuove avventure, e soprattutto dopo anni di dolorosissima convalescenza, cercò nel volo nuove emozioni. Si lanciò in picchiata con il suo Pitts Special ma non riuscì più a sollevarsi e precipitò in mare davanti alle spiagge di Bognor Regis, la cittadina dove era nato.DC

Emerson Fittipaldi nella giungla

Difficile invecchiare anche per Emerson Fittipaldi, forte di due titoli mondiali (1972 e 1974) oltre a due vittorie alla 500 Miglia di Indianapolis. Dopo la F.1 corre e vince in America ma nel gran premio del Michigan, si frattura la settima vertebra cervicale. Si ritira. Ma non perde il vizio del rischio: l’anno dopo, in un volo di deltaplano con il figlio di sei anni, precipita e viene ritrovato solo dopo undici ore. "L’incidente in Michigan è stato un avviso divino, la caduta in deltaplano è stato un ordine di Dio: adesso basta!", ammette in ospedale. L’aereo si era schiantato contro una collina a qualche chilometro dalla sua fazenda in Brasile precipitando nella giungla brasiliana, attraversata da fiumi infestati da piranhas.DC

Le sfide di McRae e Kubica

La febbre delle emozioni forti dopo il ritiro dalle corse ha portato via il 15 settembre 2007 anche Colin McRae, veloce rallysta britannico, campione del mondo 1995. Dopo i rally, aveva rischiato la vita alla Paris-Dakar, salvandosi per un pelo. Fuori stagione non giocava a carte, pilotava elicotteri: tentando di atterrare vicino a casa, a Lanark (GB) prese un albero con le pale. Il suo gioiello prese fuoco e si portò via tra le fiamme lui, il figlio Johnny (6 anni) e ad altri due suoi amici (tra cui un altro bambino). Un altro che freme lontano dai grand prix è Robert Kubica. Passa dalla Renault F1 ai rally di provincia, dove si schianta, il 6 febbraio 2011, vicino a Savona. Gloria od oblìo, correre è pur sempre vivere. Difficile per loro, velocisti nel DNA, accettare il tranquillo tran-tran quotidiano casa-ufficio.

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