BMW Serie 3 E21: una magnifica ballerina

Nel 1975 Monaco lancia l'erede della "02"; elegante e ben costruita, piace soprattutto per lo stile. Il costo elevato e la tenuta di strada approssimativa non le impediscono di diventare una best seller, anche per la qualità dei motori , specie il nuovo 6 cilindri....

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STILE

A fine anni ’60 la BMW si è lasciata alla spalle la crisi in cui era sprofondata nel dopoguerra; dapprima rimasta a galla con l’Isetta, ha risalito la china con la piccola 700 firmata da Giovanni Michelotti, che disegnerà tutti i modelli del decennio successivo dando un forte imprinting al marchio bavarese; infine, con le coupé 1602-2002 arriva il tanto sofferto riscatto e i vertici della Casa possono guardare al futuro con ottimismo, gettando le basi di un programma molto ambizioso: diventare l’alternativa alla Mercedes-Benz. Sembra un sogno da pazzi visionari, per un’azienda che soltanto dieci anni prima ha sbarcato il lunario montando motori motociclistici su un ovetto a tre ruote scartato dagli “Italienisch”, ma a Monaco ci credono. E, tanto per chiarire che fanno sul serio, nel 1970 ingaggiano come responsabile del centro stile nientemeno che Paul Bracq, il designer francese autore di due ammiratissime Mercedes: la SL “Pagoda” e la 600, la limousine più in voga tra capi di stato, jet-set e potenti in genere. Bracq rimarrà in quel di München solo quattro anni, prima di andarsene in Peugeot, ma il periodo trascorso in Baviera si rivelerà assai fecondo dal momento che il francese firmerà tutta la nuova gamma che arriverà senza grosse modifiche fino agli anni ‘80: si comincia nel 1972 con il lancio della serie 5 “E12”, cui seguiranno le serie 3, 6 e 7. E a questo punto, in quel di Stoccarda, qualcuno inizierà ad avere più di un mal di testa…


C’è molta Italia nell’aspetto di queste BMW e di tante altre auto germaniche: innanzitutto, Bracq non rinnega alcuni particolari introdotti da Michelotti, quali il frontale “a bocca di squalo” caratterizzato da muso appuntito, mascherina leggermente inclinata all’indietro con doppio rene centrale e quattro fari circolari di ugual diametro come sulla ammiraglia E3; inoltre, anche Nuccio Bertone aveva proposto alcuni prototipi su base Bmw (tra cui la “Garmisch” del 1970) nei quali si intravvede qualche anticipazione di quello che sarà il nuovo corso; e pare che proprio Bertone, sebbene in veste non ufficiale, fosse una sorta di consulente dei vertici della Casa ai quali dispensava preziosi suggerimenti. Ovviamente Bracq ci mette del suo e riesce a miscelare sapientemente il solido aspetto teutonico con soluzioni all’italiana; e per chi ancora nutrisse dubbi circa questo argomento, ricordiamo che nel frattempo il centro stile della Mercedes è stato affidato a un certo Bruno Sacco e che la Volkswagen, in forte crisi d’identità, vivrà un esaltante rilancio soltanto grazie alle felici intuizioni di Giugiaro…


Benché nel 1970 la “2002” sia ancora sulla cresta dell’onda di qua e di là dell’Oceano, i bavaresi non dormono sugli allori e iniziano a pensare alla sua sostituta, la E21, che ovviamente dovrà essere migliore: l’incremento dell’abitabilità posteriore è uno degli obiettivi da perseguire, così come una maggiore facilità di guida sul bagnato; inoltre la sicurezza, che in Europa è un argomento ancora poco considerato, negli USA è un “must” imprescindibile, per cui, oltre ad avere i paraurti ad assorbimento, la nuova scocca dovrà essere più rigida. Come già detto, nel 1974 Paul Bracq ritorna all’ombra della torre Eiffel e il suo posto viene preso da Claus Luthe, che in via ufficiale figurerà come il creatore della vettura al momento del lancio. Nel febbraio del 1975 avviene una presentazione “a porte chiuse” alla quale sono invitati i concessionari tedeschi, per sondarne le reazioni; il modello viene poi mostrato alla stampa a luglio, mentre il grande pubblico dovrà aspettare ancora un paio di mesi quando al salone di Francoforte potrà finalmente toccare con mano quella che comunemente sarà chiamata la “serie 3”.

ERGONOMIA

Con un cx di 0,43 la E21 non può definirsi un capolavoro di aerodinamica e questo, in piena crisi petrolifera, è un difetto grave, ma la qualità costruttiva è eccellente; nell’aspetto è evidente la parentela con la serie 5, dalla quale riprende anche l’impostazione meccanica; la carrozzeria a tre volumi e due porte è caratterizzata da una linea di cintura bassa che, associata ad un’ampia vetratura, conferisce una buona luminosità all’abitacolo; ottimo l’impatto estetico, specie nel frontale delle versioni a due litri, caratterizzate dai quattro fari; invece il muso delle versioni minori, a due soli proiettori, ha un aspetto un po’ semplice, tanto che questi modelli verranno spesso dileggiati come “BMW dei poveri” oppure “voglio ma non posso”; meno entusiastici i giudizi sulla coda, considerata un po’ “vuota”: infatti la mascherina nera tra i due fari posteriori inizialmente non era prevista e la grande superficie di lamiera nuda sullo specchio di poppa (anche a causa della targa relegata sotto al paraurti) aveva un aspetto non del tutto riuscito; pare comunque che il suggerimento di riempire lo spazio tra i due fanali con una grigliatura in plastica nera sia figlio di Nuccio Bertone; molto personale il taglio del finestrino posteriore con una svasatura nella parte bassa che si ritrova su altri modelli della casa di Monaco: è conosciuto come “Hofmeister knick”, ovvero “il ricciolo di Hofmeister” dal nome del responsabile del design della Casa che anni addietro aveva lavorato al fianco di Michelotti; quest’ultimo rimase sempre un consulente esterno per sua precisa scelta.

All’interno, nonostante le buone intenzioni e l’incremento del passo di 63 mm, i miglioramenti a livello di abitabilità sono limitati; in compenso, debutta in grande stile il concetto di ergonomia, con una moderna plancia orientata verso il conducente che farà scuola; peccato che inizialmente sia caratterizzata da indicazioni, comandi e spie in tedesco invece che da una più razionale simbologia; del tutto nuovo anche l’impianto di aerazione con possibilità di ottenere a richiesta il condizionatore d’aria. Sedili profilati con appoggiatesta, cinture autoavvolgenti e finiture impeccabili contribuivano a dare un aspetto moderno, solido e curato, cui concorreva pure l’ottima insonorizzazione; la nuova “serie 3” dà l’impressione di essere una macchina robusta e i dati lo confermano: benché sia impossibile recepirlo a vista, la rigidità torsionale è aumentata del 18% rispetto alla progenitrice, modello spesso oggetto di critiche per un temperamento eccessivamente reattivo, specialmente sul bagnato; e qui i tecnici bavaresi probabilmente furono dilaniati dal dubbio: una Bmw dal comportamento troppo imborghesito avrebbe deluso i clienti della Casa?

Così anche il nuovo modello, sebbene più docile, monterà uno schema di sospensioni analogo e si cucirà addosso l’etichetta di auto da maneggiare con cautela in caso di pioggia; e a poco servì dotare le versioni di maggiore cilindrata di barre di torsione; criticabile inoltre per la classe del modello l’adozione di un impianto frenante misto dischi/tamburi ed il cambio Getrag a soli quattro rapporti, peraltro non indovinatissimi: quantomeno sulle versioni top di gamma i dischi al retrotreno e la quinta marcia non ci sarebbero stati male. Era disponibile comunque, a richiesta, il cambio automatico ZF a tre rapporti, opzione più che necessaria viste le ambizioni di successo sul mercato statunitense, ma destinato a essere ignorato al di sotto delle Alpi. Al momento della presentazione, l’unico tipo di carrozzeria disponibile è la berlina a due porte, formula molto amata dai tedeschi; la Casa non ripropone la “touring” con portellone, visto lo scarso successo della 2002, mentre una versione a quattro porte viene esclusa a priori onde evitare sovrapposizioni con la serie 5. Variegata invece è l’offerta a livello meccanico: si parte dalla 316 (1573 cc, 90 CV), si passa per la 318 (1766 cc, 98 CV), entrambe a carburatore, per arrivare al vertice con la 320, quattro cilindri di 1990 cc con due potenze e altrettante possibilità di alimentazione: carburatore da 109 CV e iniezione meccanica (320i), da ben 125 CV.

ARRIVA IL 6...

I prezzi sono elevati, la dotazione di accessori è risicata e i consumi non sono tra i più economici a causa della massa elevata e dei rapporti del cambio troppo corti, ma il modello incontra subito un buon successo; tuttavia, oltre ai cronici problemi di spazio e di tenuta sul bagnato, le prestazioni si rivelano inferiori rispetto alla 2002 tii. A gennaio 1976 è aggiunto il listello in plastica in coda che, oltre a rendere più gradevole l’aspetto, conferisce una spiccata personalità anche al “lato b”; dopo l’estate viene offerta la possibilità di montare a richiesta la quinta marcia sulla 320i ma non è il toccasana. La Casa lo sa e al salone di Francoforte 1977 cala l’asso di briscola presentando le versioni a 6 cilindri: debuttano infatti la 320 con 122 CV (carburatore) e la 323i, mossa da un 2315 cc a iniezione da 143 CV che si pone al vertice della gamma. La prima, detta anche M60 o 320/6, è offerta a 7.888.000 Lire, prezzo allineato a quello dell’Alfetta 2000, superiore di 767mila Lire a quello della 320 a 4 cilindri e di 1,3 milioni rispetto alla 316. Le nuove nate rimpiazzano le precedenti 320 e 320i a quattro cilindri (ma in Italia coesisteranno per alcuni mesi), le prestazioni della 2 litri, che raggiunge i 180 km/h, non migliorano un granché (anzi, per certi versi la 4 cilindri a iniezione è nettamente più briosa) ma a livello di sensazioni, piacere di guida e immagine il sei cilindri ha sempre il “suo perché”. Quanto a tenuta di strada la M60 può essere molto divertente, ma il suo assetto è ancora più “sul filo” perché sull’avantreno gravano circa 60 kg in più.

Ciò, benché venga in soccorso la maggior gradualità del propulsore rispetto al quattro cilindri, che rende il passaggio al sovrasterzo meno brusco e più controllabile. Quanto a dotazione, la politica della Casa è quella di dispensare accessori col contagocce o, al limite, a pagamento: perciò la lista degli optional è lunghissima ma anche su questa versione pesa l’assenza dei freni a disco posteriori, della V marcia (un peccato, il cambio è un gioiello di manovrabilità, così come lo sterzo) e addirittura dei vetri posteriori apribili a compasso per i quali l’acquirente deve scucire altre 90.000 Lire. Se la passano peggio i possessori delle 316 e 318, che devono pagare addirittura il contagiri! Quanto alla 323i, riconoscibile solo dalle scritte anteriori e posteriori e dal doppio scarico, in Ita lia se ne venderanno pochine in quanto soggetta all’IVA del 38%: chi sborsava 12 milioni di Lire non era molto felice di ritrovarsi una vettura rifinita con i medesimi tessuti della 316, ma questo era un problema tutto italiano. Quanto alle impressioni di guida, le riviste dell’epoca giudicarono il 2300 come il miglior propulsore tra quelli che BMW aveva in produzione: potente e vellutato, raggiungeva agevolmente i 193 km/h. Critiche venivano dalla scalatura dei rapporti, troppo corti, e per l’assenza della V. In compenso su questa versione ci sono i freni a disco posteriori e le sospensioni sono irrigidite rispetto a quelle della 320. Però la perdita in comfort della 323 non è sufficiente a migliorare la tenuta sul bagnato, tallone d’Achille al pari dei consumi: se ci si lascia prendere la mano la lancetta dell’indicatore scende alla velocità della luce.

EVOLUZIONE...

Negli anni la E21 guadagna innumerevoli aggiornamenti di dettaglio, come il tessuto di rivestimento degli interni o le scritte identificative, che a fine 1978 perdono lo sfondo nero. Nel 1979 c’è un mini-restyling: spoiler sotto il paraurti, retrovisore esterno con regolazione elettrica, design più filante e calottina nera, retronebbia integrato nel gruppo luci posteriore. All’interno plancia, comandi e strumenti sono aggiornati con la simbologia e la grafica nuova, i vetri atermici in alcuni paesi possono essere ordinati in tinta fumé al posto del classico verde e ci sono nuove prese d’aria nel frontale. Infine, a richiesta è disponibile un cambio a cinque rapporti sportivi in abbinamento al differenziale autobloccante.

Siamo nel 1980 quando i motori 4 cilindri sono rivisitati all’insegna del risparmio: la 316 diventa 1800 (sempre 90 CV), mentre la 318 diventa 318i (iniezione), con 105 CV: versione azzeccata al punto da infastidire la 320, grazie a prestazioni ottime (175 km/h) con costi di gestione ben inferiori. Tra l’altro il catalogo accessori after-market della Casa offre un kit “320 look” (mascherina a quattro fari) che molti possessori di 316 e 318 non si fanno sfuggire, sopprimendo così i complessi di inferiorità nei confronti della due litri. Un milione Per non lasciare sguarnita la “fascia bassa” del mercato, nel marzo 1981 debutta la “315”, con il 1600 depotenziato a 75 CV ed equipaggiamento ridotto all’osso; in Italia se ne vendono parecchie, anche se a fare la parte del leone sono sempre le duemila. Passano due mesi e dalle catene di montaggio esce il milionesimo esemplare di “serie 3”: è la prima volta che una BMW raggiunge un traguardo così importante, prologo al 1981, anno in cui si raggiunge il massimo picco di produzione con 227.000 esemplari.

Nel 1982 vengono lanciate le versioni di fine carriera “Edition E” (abbreviazione di “Exclusive” per le 318i, 320 e 323i) ed “Edition S” (Sport) per la 323i. A Settembre la produzione cessa, il testimone passa alla nuova serie E30: soltanto la 315 resterà in listino ancora un anno e di fatto costituirà l’entry-level nel mondo dell’elica biancoazzurra. La E21 lascia quindi i listini per entrare nella storia dopo una produzione di 1.354.958 unità: la 320/M60 risulta essere l’allestimento con la maggiore tiratura (oltre 250.000 esemplari), seguita a ruota dalla 316 mentre la 318i, nonostante un periodo di produzione abbastanza breve, raggiunge un traguardo considerevole sfiorando quota 200.000.

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