Autostrade: la convenzione scatena la polemica

Il gestore di autostrade ha reso pubblica la convenzione col Ministero dei Trasporti, portando alla luce importanti quanto scandalosi retroscena.
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Subito dopo la tragedia del ponte Morandi, avvenuta il 14 di agosto scorso a Genova, tutte le convenzioni fra gestori e Stato, proprietario delle autostrade, sono state rese pubbliche. Da quel momento quindi i cittadini sono entrati pienamente a conoscenza dei contratti di concessione, del piano finanziario, dei guadagni, degli investimenti e delle penalità in caso di revoca della concessione tra Autostrade per l’Italia e il Ministero dei Trasporti. Ma l’aver reso pubblici tutti gli elementi che regolano la concessione, compreso il piano finanziario, invece di calmare le acque, non ha fatto altro che accentuare la polemica e i malumori nati subito dopo la triste tragedia.

La questione della segretezza

Leggendo gli atti si apprende in primis che questa tipologia di accordo, siglata tra Autostrade per l’Italia e lo Stato italiano, prevede tre punti chiave: Autostrade per l’Italia ci guadagna sempre e comunque anche in caso di crisi economica con conseguente calo del traffico o in caso di minori investimenti rispetto a quelli programmati; Autostrade per l’Italia ogni anno gode di un rialzo delle tariffe pari al 70% dell’inflazione reale; La convenzione, gli atti successivi e il piano finanziario sono stati concepiti, scritti, avallati e firmati spontaneamente dalla politica in diversi momenti e giustamente coperti da segreto di Stato per assicurare parità di condizioni sul mercato e per tutelare la società, quotata in Borsa.

Qualcosa non torna

Proseguendo nella lettura di tale convenzione emerge che il rapporto tra Stato e Autostrade per l’Italia è costruito sulla congrua remunerazione del capitale investito. Grazie al magico fattore K tra la remunerazione del capitale e la remunerazione del debito si ottiene un bel 10,21% lordo, che al netto fa 6,85% l’anno. Sul fronte degli investimenti salta fuori, invece, il fattore X che prevede un tasso di remunerazione pari al 7,18% utilizzando il metodo dell’attualizzazione dei flussi di cassa. Come se non bastasse, gli investimenti in manutenzione, 100.000 euro al chilometro, sono 5 volte superiori a quelli realizzati dall’Anas ma risultano inferiori al programma iniziale di circa il 70%. Infine, gli apporti di capitale previsti nel periodo sono pari a zero, mentre i contributi in conto capitale ammontano a 131 milioni.

Sempre la solita storia

I numeri, grazie ai quali i padroni delle autostrade si sono arricchiti gestendo beni che appartengono a tutti noi, parlano chiaro. Il capitale investito dalla maggior parte delle concessionarie era già stato ampiamente ammortizzato e remunerato, tra la metà e la fine degli anni '90. Pertanto, le tariffe avrebbero quantomeno potuto essere drasticamente ridotte di una montagna di extraprofitti. Tutto questo a discapito dei cittadini che hanno visto e vedono di volta in volta aumentare il costo dei pedaggi. Dopo l’inutile trasparenza di Autostrade per l’Italia, il Governo corre ai ripari cercando di rivedere integralmente il sistema delle concessioni, valutando di volta in volta l'interesse pubblico. Intanto Autostrade per l’Italia ha dichiarato che risarcirà personalmente commercianti, artigiani e imprenditori che hanno le loro attività all'interno della Zona Rossa e tutte le famiglie costrette a lasciare le proprie abitazioni perché anch’esse all’interno della Zona Rossa.

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