22 January 2016

Bellissime da Corsa, la Lotus 72 - Ford

Dopo la "49 massima evoluzione delle F1 Anni '60 , Chapman rivoluziona ancora la categoria con una monoposto tanto riuscita da correre per ben sei stagioni....

INIZI

Nella storia della Formula Uno la Lotus 72 entra nel novero delle monoposto che hanno segnato una svolta. Colin Chapman, infatti, sposta il radiatore dell’acqua, che tutti avevano nel musetto, per collocarlo, sdoppiato, a lato dell’abitacolo. Sposta inoltre i dischi dei freni anteriori all’interno della scocca, alleggerendo le masse non sospese. Lo scopo è accentrare meglio le masse attorno al baricentro della monoposto e diminuire la sezione frontale della vettura. Il progettista, Maurice Philippe, ha così modo di disegnare una macchina dalla forma a cuneo, con riduzione della resistenza all’avanzamento e guadagno in deportanza visto che tutta la carrozzeria funge da elemento aerodinamico. I radiatori alle fiancate, inoltre, diventano una componente deformabile per una maggiore sicurezza in caso d’urto laterale.

Ma come mai Chapman e Philippe conclusero che la loro “49”, che pur era stata innovativa, era giunta al capolinea? Nel momento in cui, nel 1968, il motore V8 Ford-Cosworth viene fornito ad altre squadre, il vantaggio acquisito nel 1967, quando Chapman lo aveva in esclusiva, svanisce. La risposta passa quindi attraverso la superiore efficienza telaistica e la ricerca aerodinamica, ma ciò comportava la costruzione di una nuova monoposto, visto che alla 49 si erano nel frattempo ispirati altri team. In Lotus c’era un punto di riferimento, il modello 56 a turbina impiegato nel 1968 a Indianapolis. La 56, infatti, aveva la forma a cuneo, studiata per migliorare le caratteristiche aerodinamiche della carrozzeria date le elevatissime velocità medie tenute nell’ovale americano. Ed è a questo modello che il progetto della 72 si ispira.

Una volta pronta, tuttavia, la “72” non fu semplice da mettere a punto: oltre alla ripartizione del peso non proprio bilanciata (35% ant. 65% post.), di nuovo c’erano le sospensioni con barre di torsione come elemento elastico, dotate di sistema anti beccheggio (“anti-dive”) davanti per impedire l’affondamento del muso in frenata e “anti-squat” dietro per limitare il sollevamento del muso in accelerazione. Questa tecnica permetteva di mantenere sufficientemente costante la distanza del fondo vettura da terra, con un potenziale vantaggio in termini aerodinamici. Inoltre si limitavano i trasferimenti di carico da avantreno a retrotreno e viceversa in accelerazione e frenata, ma poneva ai piloti problemi con l’anteriore e in frenata. È il britannico John Miles, seconda guida del Team Lotus, più che Jochen Rindt, a farsi carico dello sviluppo della monoposto (i primi test si tennero all’autodromo di Snetterton), ma il lavoro di messa a punto si rivela complicato, soprattutto in relazione ai sistemi anti bec-cheggio che non si riescono a far funzionare nel modo corretto, tanto che, dopo le prime esperienze negative in gara, vengono eliminati.

SUBITO IRIDATA

Il debutto avviene al GP di Spagna il 19 aprile 1970 sul circuito di Jarama, dove il campione austriaco, qualificatosi in quarta fila, abbandona per noie all’accensione. A Montecarlo la “72” è portata in pista da Miles che, pur con una vettura ancora acerba, riuscirebbe a prendere il via, se non dovesse cedere la piazzola in griglia alla BRM di Rodriguez, qualificato d’ufficio (all’epoca a Monaco partivano soltanto 16 monoposto e i piloti ufficiali avevano questo privilegio ). Nel toboga del Principato Rindt preferisce la vecchia “49” e la sua scelta è premiata dalla vittoria. In Belgio, dove Rindt utilizza ancora la “49”, la Lotus 72 è pilotata dallo spagnolo Alex Soler-Roig che non prende il via per non essere riuscito in prova a completare un numero sufficiente di tornate, ma va meglio a Miles che parte dalla quinta fila, sia pure per ritirarsi dopo tredici giri.

La nuova monoposto dimostra, malgrado le tante novità introdotte tutte assieme, di essere azzeccata. Suscita in tutti interesse per la forma inusitata e una curiosità mista a timore negli avversari perché, nelle mani di Jochen Rindt, potrebbe rivelarsi un’arma formidabile nella scalata al titolo. E infatti la vittoria arriva già in Olanda, con Rindt al volante della “72” #2, in versione C. L’austriaco si ripete in Francia, poi in Gran Bretagna e in Germania: con quattro vittorie consecutive Rindt mette un’ipoteca sull’iride, che gli verrà aggiudicato alla memoria perché il campione austriaco muore a Monza durante le prove del GP d’Italia. Accade di sabato, quando Rindt “stacca” con decisione all’ingresso della curva Parabolica. La monoposto scarta improvvisamente a sinistra andando a cozzare contro il guard-rail. Il pilota muore praticamente sul colpo. A innescare la sbandata pare sia la rottura del semiasse che collega la ruota anteriore destra con il disco del freno entrobordo.

Non v’è certezza, ma altre cause non avrebbero fatto deviare la monoposto così violentemente. Chapman, ad ogni modo, irrobustisce i semiassi incriminati, che così saranno mantenuti da lì in avanti. E dire che in Austria c’era stato un campanello d’allarme, perché la medesima rottura aveva fatto andare di traverso Miles, per fortuna senza danni. La vittoria di Emerson Fittipaldi con la “72” al GP degli Stati Uniti, la prima della sua carriera, oltre a consacrare una futura stella nel firmamento dei campioni di F1, toglie a Jacky Ickx e alla Ferrari la possibilità di conquistare il titolo dopo aver dominato l’ultima parte della stagione con quattro vittorie. E dona alla Lotus anche la Coppa Costruttori. Il 1971, che ha per protagonisti Jackie Stewart e la sua Tyrrell, è invece una stagione incolore per la Lotus 72, i cui unici risultati di rilievo sono un secondo e due terzi posti con Fittipaldi: un po’ poco visti i risultati ottenuti l’anno prima, ma c’è una spiegazione. Nel ’71 le gomme da scolpite diventano slick, con nuove e più performanti mescole che danno sì una maggiore aderenza, ma che richiedono una rivisitazione delle sospensioni.

Si deve irrigidire l’assetto, cercare nuove soluzioni e la cosa si rivela tutt’altro che semplice. Il 1972 è invece l’anno che consacra la Lotus 72 ed Emerson Fittipaldi, il pilota che più contribuì, con il proprio lavoro di collaudo, a portarla ai vertici. E, per inciso, è la monoposto che il brasiliano ricorda oggi come la migliore da lui guidata in carriera. La “72”, in versione D, fa subito parlare di sé per la livrea nera con filetti dorati del nuovo sponsor John Player Special, che sostituisce quella bianco panna-rosso-oro di marca Gold-Leaf. Fittipaldi, con una punta di ironia, dice che con quei colori basterebbe applicarle quattro maniglie dorate ai fianchi per farla sembrare una bara. Piaccia o no la livrea, la vittoria arriva in Spagna dopo la seconda piazza conquistata in Sudafrica, per la gioia di Fittipaldi che, dopo il terzo posto nel diluvio di Montecarlo, torna sul gradino più alto del podio in Belgio.

A questo punto è chiaro che il titolo se lo giocheranno Fittipaldi e Stewart, pur con terzi incomodi del calibro di Ickx, Hulme, Revson e Cévert. Con il secondo posto in Francia, seguito dalla vittoria in Gran Bretagna, il brasiliano consolida la leadership nella classifica piloti grazie anche alle affermazioni in Austria e a Monza, dove conquista matematicamente il titolo. Cinque vittorie fanno cinque “stelloncini” John Player Special applicati sull’alettone posteriore, un’usanza che Chapman ha introdotto per sottolineare i successi della sua nera “72”.

LOTTA

Nel 1973 la squadra Lotus si rafforza con l’arrivo dello svedese Ronnie Peterson, proveniente dalla March. Si dice che in Lotus alla prima guida vadano tutte le attenzioni e il materiale migliore, mentre la seconda guida deve arrangiarsi con quel che avanzava. E all’inizio del campionato sembra proprio che la situazione di Peterson sia questa, un fatto insolito per uno giudicato come il più veloce pilota del “Circus”. Di fatto, però, Fittipaldi vince in Argentina e in Brasile, chiude terzo in Sudafrica e trionfa nuovamente in Spagna, complice la sfortuna di Peterson che deve ritirarsi dopo cinquantasette giri quando è in testa.

A questo punto il brasiliano, in vetta alla classifica con quarantuno punti contro i quattro di Peterson, sembra aver chiuso la lotta interna per la leadership, tanto più che Stewart incombe a sole quattro lunghezze dopo aver vinto in Sudafrica, in Belgio e a Monte-Carlo. Anderstorp, in Svezia, è una tappa interlocutoria perché né Fittipaldi né Stewart prendono punti, ma il secondo posto di Peterson orienta le simpatie di Chapman verso il campione svedese: Ronnie gli piace per la grinta, per la decisione nei sorpassi e le attenzioni del patron britannico iniziano a essere rivolte verso di lui. La gara che fa da spartiacque nella competizione tra i due campioni della Lotus è il GP di Francia, a Le Castellet. Jody Scheckter va in testa, dopo essere scattato dalla prima fila. Fittipaldi è secondo, Peterson terzo e Hulme quarto.

E tutti premono, a cominciare da Fittipaldi che, al 42° giro, prova a incuneare il musetto della sua 72 all’interno della McLaren di Scheckter, con il risultato di mandare a ruote all’aria il sudafricano e di ritirarsi a sua volta con una sospensione anteriore rotta. Peterson ha via libera e va a vincere il suo primo GP con la monoposto di Chapman. L’Olanda non porta punti in casa Lotus: Fittipaldi esce di pista in prova e si ferisce alla caviglia compromettendo la partecipazione al GP, mentre Peterson, per gran parte della gara al comando, abbandona per noie al cambio. Il GP d’Olanda, tuttavia, sarà ricordato più che per la vittoria di Stewart, per la bruttissima pagina scritta dalla F1 nell’incidente occorso a Roger Williamson, che muore arso vivo nel rogo della sua March ribaltatasi all’ottavo giro.

La totale inadeguatezza dei soccorsi emerge in tutta la sua drammaticità, con il solo David Purley che ferma la sua monoposto per prestare soccorso allo sfortunato collega, con un estremo quanto vano tentativo. In Austria la buona stella sorride ancora a Peterson, sempre più nelle grazie di Chapman, che a Monza, con una decisione che costerà alla sua squadra il titolo piloti, non darà l’ordine di scuderia atteso e Fittipaldi, terminando secondo dietro allo svedese, dirà addio al titolo iridato. Peterson vincerà ancora negli Stati Uniti un GP che vedrà il ritiro anticipato dalle gare di Stewart, già matematicamente campione del mondo 1973, dopo l’incidente nel quale muore il suo compagno di scuderia Francois Cévert.

Perso il titolo piloti, la Lotus conquista comunque la Coppa Costruttori che, tra i due trofei, a Chapman è quello che interessa di più. Nella classifica iridata Fittipaldi, con tre successi, chiude secondo con tre punti più di Peterson, che di GP ne ha vinti quattro. Il 1973 è l’anno in cui la “72” raggiunge il vertice delle prestazioni. Risolti i problemi che inizialmente ne avevano reso difficile la guida, essa dona ai piloti la medesima, positiva sensazione offerta in passato dalla “49”. Le lotte intestinehanno lasciato però un segno: Fittipaldi se ne va per approdare alla McLaren e ad affiancare Peterson giunge il belga Jacky Ickx, proveniente dalla Ferrari.

ANCORA LEI...

La macchina per il 1974 dovrebbe essere la nuova “76”, ma questa è usata soltanto in alcuni GP, a causa della scarsa competitività. I problemi incontrati rilanciano così la “72” per la quinta stagione consecutiva. Peterson chiude vittorioso a Monte-Carlo e si ripete a Digione in Francia. Chapman, a chi gli fa notare che sarebbe ora di mettere in pista una nuova macchina, risponde che la monoposto migliore è quella che vince. Però è chiaro che la supremazia della stagione passata è svanita e che il mondiale sarà una questione tra la McLaren di Fittipaldi e le Ferrari di Regazzoni e Lauda. A Monza Peterson sfrutta la rivalità tra le Ferrari per trionfare, ancora una volta davanti a Fittipaldi.

Alla resa dei conti la Lotus termina il ’74 piazzando i propri alfieri al quinto (Peterson) e al decimo posto (Ickx) e occupando la quarta posizione nella classifica Costruttori dietro a McLaren, Ferrari e Tyrrell. La vittoria di Monza (la terza consecutiva su questa pista per la “72”, ora in versione “E”) è l’ultima colta da questo modello che non ha un erede, perché la “76” si è rivelata sbagliata ed è stata abbandonata. Il 1975 vede Peterson e Ickx ancora con la “72”: potrebbero difendersi se le nuove gomme Good-Year non avessero una mescola troppo dura, che funziona bene su altre macchine, ma non nella loro che richiede coperture più soffici. Ma la Casa americana non le produce più. Nemmeno il montaggio sperimentale di molle al posto delle barre di torsione sortisce un effetto positivo e così l’unico risultato di rilievo è la seconda piazza di Ickx al GP di Spagna. Chiusa la stagione al settimo posto tra i Costruttori, la Lotus 72 entra nell’album dei ricordi. Con la soddisfazione, per Chapman, vittorie a parte, di avere aperto una nuova via a cui tutti si sono ispirati.

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