22 December 2015

Alfa Romeo 1750 Coupé prototipo Giugiaro, scusate l' anticipo

Ci sono voluti il fiuto e la passione di un collezionista-detective per riportare alla luce questo pezzo unico, che la Casa di Arese aveva inizialmente destinato alla demolizione. Il suo fascino? Un design che prefigura gli aspetti più innovativi di alcune successive hit del Biscione. A cominciare dall’Alfetta GT...

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Villa d’Este, a pochi passi da Como, 25 aprile 2004. Il celebre e omonimo concorso d’eleganza annuale è in pieno svolgimento e il parco dell’hotel 5 stelle lusso che lo ospita è tutto un fiorire di Bugatti e Ferrari, di carrozzerie Castagna e Saoutchick, di mascotte firmate Lalique e di statuine dello Spirit of Ecstasys: quanto di meglio e di più lussuoso, insomma, lo stile e l’industria dell’automobile abbiamo mai sfornato.

In un’area, riservata a una selezione rappresentativa delle Gt italiane degli anni 60, c’è una strana Alfa Romeo che fa discutere: non è propriamente una bellezza (più che di una vettura finita ha tutta l’aria di un “work in progress”), ma le sue linee sono cariche di suggestioni e sembrano rappresentare le prove generali di alcuni tra i più famosi modelli del Biscione degli an 60 e 70. Nella maggior parte degli appassionati presenti quella vettura suscita un certo sconcerto, e in alcuni lo sconcerto si trasforma in aperta diffidenza: “Non la conosco, quindi non è mai esistita.E, se non è esistita, è un’auto inventata. Quindi un falso”.

INVENTATA
Reazione affrettata e dedu ne errata: basti pensare che realizzare un’auto così costerebbe oggi qualche centinaio di migliaia di euro, mentre con molto meno sarebbe possibile “inventarsi” (tanto per restare in casa Alfa) una ben più commerciabile e remunerativa 1750 GTAm o Giulietta SZ.La realtà è molto più semplice, ma anche molto più affascinante (oltre che decisamente più seria): questa Alfa Romeo viene dal limbo delle auto mai nate, in cui è rimasta per quasi 40 anni prima che la cultura e la preparazione del suo attuale proprietario, l’architetto milanese Corrado Lopresto, la strappassero a quella vita nell’ombra per portarla al gran debutto sotto i riflettori di Villa d’Este. Si tratta, in effetti, di un prototipo allestito su base 1750, alienato dall’Alfa Romeo nel 1985 (come provano le fatture che accompagnano la vettura) in blocco con altro materiale da avviare alla demolizione. Il prototipo è quindi stato ritirato in prima battuta da un demolitore in diretto rapporto con la Casa di Arese; la vettura, però, non è mai stata demolita ma previdentemente messa in , per poi essere rivenduta al suo proprietario. Fatta luce sul luogo di nascita delauto, restava però da risalire alla sua effettiva paternità.

OPINIONI
A Villa d’Este 2004 pareri e le opinioni si sprecavano: i vedeva il tocco della Italdesign in i dettagli anticipatori dell’Alfasud , chi osservava che il trattamento delle superfici vetrate autorizzava a pensare piuttosto a Pietro Frua. E non mancava neppure chi ipotizzava il lavoro di un carrozziere minore che avesse preso in prestito elementi stilistici dai grandi: come Dario Casale, per esempio. Il fantasioso artigiano di Bassano del Grappa, in effetti, campava allestendo carri funebri di grande qualità, ma non nascondeva una spiccata passione per le sportive e si era già distinto con una coupé su pianale Alfa Romeo Giulia. Insomma: mater (Alfa Romeo) certa; il pater, invece, sembrava volersi defilare. Il buon collezionista, spesso, sa essere anche un buon investigatore, e Corrado Lopresto non sfugge alla regola. Così, facendo alcune ricerche nell’archivio del Centro Stile Alfa Romeo, l’architetto milanese non tardò a ritrovare alcuni figurini senza firma di una coupé come la sua: si trattava di viste di fronte, di fianco e dietro, prive delle quote che corredano i veri e propri disegni tecnici, ma in scala. I segni delle chine bianca e nera sulla carta azzurra rivelavano una mano da vero artista. Il ritrovamento dei disegni gli dette la certezza che l’auto era effettivamente transitata nei centri creativi del Biscione, ma non bastava a rivelarne l’autore. La svolta arrivò quando Lopresto, felice per il ritrovamento, telefonò a un amico, che gli pose alcune domande molto circostanziate sui disegni. “Hai detto carta azzurra?” gli chiese la voce dall’altra parte del telefono.

GIUGIARO
Solo pochi addetti ai lavori lo sanno, ma la carta Canson blu è il supporto preferito da Giorgio Giugiaro per i suoi figurini, che non sono mai schizzi in prospettiva deformata, dai quali sarebbe difficile ricavare le dimensioni reali, e neppure presentano scenografie che aumentano il pathos ma poi complicano non poco il lavoro necessario alla trasposizione delle linee sui veri e propri disegni tecnici. Forte di questa inequivocabile traccia, Lopresto riuscì a incontrare l’architetto Emilio Mario Favilla, a suo tempo designer presso il Centro Stile Alfa Romeo.

Favilla ricordava che quella coupé non era nata nel Centro Stile, ma ci era arrivata direttamente dalla Italdesign di Giugiaro e Mantovani come auto finita. E ricordava pure che su un lato montava due ruote in lega, sull’altro due cerchi d’acciaio: un modo semplice e pratico per agevolare il lavoro di chi avrebbe dovuto valutare l’effetto dell’una e dell’altra soluzione. Favilla ricordava con precisione la successione dei fatti, tanto da affermare che i disegni probabilmente anticipavano la realizzazione della vettura, perché fin dal primo momento questa presentò l’unico elemento voluto personalmente dal Centro Stile Alfa Romeo: il quadrifoglio sul montante posteriore. Al suo posto Giugiaro aveva immaginato una griglia a tre barre che avrebbe prolungato visivamente la linea del finestrino posteriore: ma a ben guardare la grata a quadrifoglio era un’idea che tornava al mittente, perché proprio Giugiaro l’aveva concepita nel 1964 per la show car Giulia Canguro, creando così un motivo al tempo stesso sia decorativo, sia funzionale.

ALFETTA

Ma a che cosa effettivamente servì questo prototipo? Quali elementi di novità introdusse e, soprattutto, quali delle sue proposte stilistiche passarono effettivamente a successivi modelli Alfa Romeo di larga produzione? La fiancata di questa eccezionale coupé 1750 ha una linea liscia e diritta, solcata da un diedro (spigolo ricavato sulla lamiera a scopo d’irrobustimento) che nella coda diventa l’asse di un motivo a freccia generato dalla sovrapposizione del cantonale del gruppo ottico posteriore con quello del paraurti. Più interessante è però l’innesto dei passaggi ruota nel diedro, perché è uno dei più caratteristici motivi stilistici trasferiti nell’Alfetta GT entrata in produzione qualche anno dopo. In quest’ultima sarebbe invece cambiata la destinazione del diedro: soppresso il motivo a freccia sulla fiancata, sarebbe infatti andato a girare sullo specchio di poppa diventando la linea guida della suddivisione su due piani orizzontali dei gruppi ottici posteriori, con il blocco delle luci di posizione/stop sopra quello dei lampeggiatori/lu ci di retromarcia. Il padiglione sarebbe invece cambiato in conseguenza del finestrino posteriore, che avrebbe abbandonato le curve ancora visibili sul prototipo per trasformarsi in un pentagono irregolare tagliato da una linea verticale per “spezzare” visivamente la cospicua superficie vetrata: proprio grazie a questo espediente Giugiaro risolse uno dei problemi dell’Alfetta GT, che doveva apparire una vera sportiva pur mantenendo uno spazio interno sufficiente per quattro persone.

PARABREZZA
A ben guardare, proprio la creazione di una vera coupé a quattro veri posti fu l’obiettivo mancato dalla 1750 prototipo. Infatti, il padiglione molto luminoso e dominato da linee curve esalta il volume dell’abitacolo, che appare però più adatto a una berlina fast-back che a una coupé (non a caso alcune idee sarebbero state riprese per l’Alfasud berlina), e la sensazione viene rafforzata dal parabrezza, piuttosto alto e diritto. Probabilmente questo fu dettato a Giugiaro da ragioni di prudenza: al Salone di Torino del 1968 il designer piemontese era stato infatti ferocemente attaccato dalla critica per il parabrezza inclinato di 15° della sua Bizzarini Manta. Oggi tutte le automobili devono presentare il parabrezza fortemente inclinato come soluzione prioritaria in funzione del risparmio energetico (minore resistenza dell’aria, minor consumo): ma allora (la Manta anticipava di poco il prototipo 1750) la lezione era ancora troppo dura da digerire…

La prudenza di Giugiaro appare giustificata pure dai problemi pratici che, in effetti, il parabrezza inclinato successivamente adottato sull’Alfetta GT non mancò di presentare. Il principale di questi era rappresentato, in caso di guida sotto la pioggia battente, dal riflusso dell’acqua asportata dal tergicristallo, che risaliva dal cofano con tale rapidità da “allagare” letteralmente il cristallo rendendo precaria la visibilità sopra i 100 km/h. La soluzione venne affidata al piccolo profilo di plastica nera posto alla base del parabrezza stesso, capace sia di rompere la corrente aerodinamica che spinge l’acqua verso l’alto, sia di fare da barriera al flusso di ritorno. Il prototipo anticipa l’Alfetta GT anche nel lunotto in una certa misura “incassato” rispetto ai montanti del padiglione. Questa intuizione troverà magistrale sviluppo nell’Alfetta GT, nella quale il lunotto incorpora il coperchio del baule ed è, appunto, “incassato” al doppio scopo di alleggerire il volume della coda e di creare uno spoiler col labbro posteriore del portellone che risale repentinamente alla quota dei montanti. Ma pure il frontale dell’Alfetta GT deve molto a questo prototipo. Su questa vettura, quando le palpebre dei fari sono sollevate, il profilo anteriore del cofano presenta (ovviamente) due rientranze sopra i gruppi ottici. Il cofano dell’Alfetta GT di produzione mostra analoghe rientranze sopra i fari.

Alla lucedi quanto osservato, si intuisce che anche nell’Alfetta GT le palpebre coprifari erano probabilmente state previste in sede progetto, per essere soppresse nella produzione (probabilmente per ragioni di costo). Le rientranze lungo il profilo anteriore del cofano però sarebbero rimaste come motivo stilistico a rafforzare un’altra suggestione proposta dalla 1750: lo scudo Alfa Romeo che sembra “appeso” al profilo anteriore del cofano e non “sostenuto” dalla fascia dietro il paraurti, come nelle Alfa Romeo precedenti. Alla luce di tutto ciò, il prototipo che vi presentiamo in queste pagine si rivela molto interessante, perché mostra il primo nucleo di quelle stesse idee che, evolvendosi, sarebbero poi confluite in quel capolavoro unanimemente riconosciuto che è l’Alfetta GT. Un grazie da parte di tutti gli appassionati va quindi di diritto al collezionista che ha voluto mettere in campo coraggio, tenacia e una bella somma per il restauro di questa interessante vettura che, nelle logiche industriali della sua Casa, avrebbe dovuto essere impietosamente avviata alla demolizione.

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