Bellissime da corsa, la McLaren M1C
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Nella storia della McLaren le biposto a ruote coperte hanno rappresentato un capitolo importante, tanto che la prima auto costruita dalla scuderia anglo-neozelandese fu una Sport, la M1A. Ma perché Bruce McLaren cominciò l’attività di costruttore con questo tipo di auto, se il suo obiettivo era vincere in F.1 con una sua monoposto? La ragione va cercata nella necessità di far quadrare il conto economico dell’azienda. La F.1 costava molto denaro, che per lo più proveniva dall’azienda stessa: d’altro canto, negli anni ‘60, quasi tutti costruivano auto da corsa da vendere ai clienti (Ferrari in testa).
E questi ultimi, nella maggioranza gentleman-driver, gareggiavano in genere nei campionati per Sport e GT oppure nelle formule minori. Per questo motivo fu varato il progetto della M1A. McLaren, forte di una solida preparazione tecnica, sapeva come costruire un telaio. Fu lui, infatti, a definire il progetto di questa sua prima creatura, poi tradotto in disegni tecnici, affinato e reso concreto con il contributo di validi tecnici tra cui . Il telaio della M1A era tubolare, con carrozzeria in pannelli di lega leggera. A darle una bella linea, perché l’occhio vuole la sua parte, ci pensò Michael Turner, l’artista inglese amico di Bruce McLaren noto come “il pittore da corsa” per i suoi soggetti a tema automobilistico sportivo. Del motore, invece, si doveva fare di necessità virtù, acquistandolo e preparandolo secondo le specifiche regolamentari dei singoli campionati. La scelta cadde su un V8 Traco-Oldsmobile 3.9, a cui seguì un 4,5 litri da 310 CV alimentato da due carburatori a doppio corpo Weber 48 IDA.
Per il cambio fu preferito uno Hewland a quattro rapporti, ma furono provati anche due cambi automatici Ferguson con convertitore di coppia. Motori yankee Usare motori in commercio rendeva indispensabile lavorare al meglio sul telaio per migliorare le prestazioni rispetto alla concorrenza. Altro aspetto importante era l’aerodinamica, anche se all’epoca era meno esasperata in confronto a oggi. L’obiettivo era ridurre il più possibile la resistenza dell’aria per garantirsi, a parità di potenza con altre vetture, una superiore velocità massima e per questo la M1A beneficiò di accurati studi in galleria del vento.
Le Sport, oltre a generare introiti, erano così anche una palestra tecnica in vista della F.1. Alla M1A seguì la M1B: il terzo atto, l’oggetto della nostra attenzione, la M1C, prese forma nel 1967 sotto la spinta dei continui successi che le McLaren ufficiali di Bruce Mclaren e Denny Hulme ottenevano nelle gare Can-Am. E questo invogliava un numero crescente di piloti e scuderie ad acquistare una McLaren.
La casa di Colnbrook non era però attrezzata per soddisfare la domanda crescente: la soluzione al problema fu l’accordo che Bruce McLaren stipulò con la società Lambretta-Trojan, finalizzato ad assemblare le vetture per i clienti presso la Elva, un piccolo costruttore entrato nel 1962 nell’orbita Trojan. La M1C, derivata dalla M1B su progetto di Bruce McLaren e Robin Herd, fu prodotta dalla Elva a partire dal 1967 in 25 esemplari, con la denominazione di McLaren-Elva Mk3. I motori utilizzati furono un Traco-Oldsmobile V8 da 4,5 litri accoppiato ad un cambio Hewland LG, un V8 Ford e, più gettonato, un V8 Chevrolet da 6 litri e oltre 500 CV, entrambi con cambio ZF.
Dal Venezuela
Competitiva per i privati Il campionato Can-Am, in termini di iscrizioni, storicamente deve moltissimo all’apporto delle biposto McLaren. Oltre al famoso “Bruce & Denny Show”, che andava in… pista negli anni del dominio delle vetture arancioni (nel 1969 McLaren e Hulme con le M8B vinsero tutte le gare del campionato Can-Am, all’interno di una striscia di 23 vittorie consecutive, ndr), le macchine con lo stemma del kiwi riempivano a volte per metà e oltre lo schieramento di partenza.
Che significava vedere in pista perfino venti McLaren, parecchie delle quali erano M1C. Esse si difesero assai bene per molti anni, permettendo a tanti piloti di mettersi in luce malgrado l’avvento di nuovi concorrenti e l’escalation di potenza che prese avvio all‘inizio degli anni Settanta. In più la M1C era una macchina facile da rivendere, aspetto non trascurabile nella gestione d’una squadra. Pur superata in competitività dalle McLaren Can-Am ufficiali (e non avrebbe potuto essere altrimenti), la M1C, specie con il motore Chevrolet, seppe conquistare validi piazzamenti tra i quali ricordiamo, nel 1967, il quinto posto di Skip Scott ad Elkhart Lake e il sesto di Chuck Parsons a Bridgehampton. L’anno dopo George Eaton, su M1C-Ford, salì sul terzo gradino del podio a Laguna Seca (gara vinta dalla M1B di John Cannon, ndr), mentre nel 1969 John Cordts conquistò (con motore Chevrolet) la quarta piazza a Mosport.
Sempre nel 1969 Kris Harrison portò la sua M1C-Chevrolet in sesta posizione a Edmonton, in un’annata che vide spesso le M1C piazzarsi all’arrivo una dietro l’altra alle spalle dei migliori. Con l’inizio degli anni ’70 le apparizioni della M1C nella Can-Am si fecero più sporadiche, logica conseguenza del passare del tempo e dell’arrivo di nuovi concorrenti. Pur nata per la Can-Am, la M1C ebbe trascorsi di prim’ordine anche in altre parti del mondo vincendo, nel 1967, quattro gare del Canadian Sports Car, lo Harewood National Trophy Races con John Cordts, a St. Jovite per mano di Ludwig Heimrath, a Westwood con Bill Amick e di nuovo a Westwood a fine stagione ancora con John Cordts.
Nel Campionato Nord-Americano Vetture Sport, sempre nel 1967, Lothar Motschenbacher vinse a Laguna Seca, mentre a Road America si impose l’equipaggio formato da Chuck Parsons e da Skip Scott. Dal Venezuela La M1C (motore V8 Chevrolet 6 litri) del nostro servizio proviene dal Venezuela e fu acquistata, nuova di fabbrica (numero di telaio 15), dal pilota locale Winston Chebly per gareggiare nella categoria Prototipi oltre 3000. Numerose furono le affermazioni di Chebly in Sudamerica, malgrado si fosse trovato a fronteggiare una concorrenza forte di piloti e macchine che provenivano a volte dalla stessa Can-Am. Chebly gareggiò per molti anni con la sua M1C, precisamente fino al 1979 quando, a seguito di un contatto con un avversario, fece un’escursione fuori pista e il motore si spense. Il tentativo di riavviarlo causò un innesco di incendio che, favorito dall’utilizzo del magnesio per i cerchi ruota ed alcuni organi meccanici, rapidamente si propagò a tutta la vettura che ne uscì semidistrutta.
IL PROPRIETARIO