27 April 2013

Università: così la ricerca spinge l'auto, tra batteri e nanotecnologie

L’industria dell’automobile pesca molto spesso nel modo universitario e anche l’Italia da questo punto di vista si difende bene. In Inghilterra sono stati scoperti batteri transegnici che producono il diesel come quello dei distributori, mentre a Milano...

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SENSORI ATTUALI I più innovativi sistemi elettronici e di sicurezza che equipaggiano le auto e le moto moderne sfruttano i sensori di inerzia (accelerometri e giroscopi) della categoria MEMS. Questa sigla indica Micro Electro Mechanical System, cioè sistemi elettromeccanici di dimensioni micro (10 elevato alla meno sei metri). Sono i “cervelli” degli airbag, dei sensori di crash, delle sospensioni elettroniche e dei controlli di trazione. Sfruttano l’attrito dei materiali su scala microscopia, generato da un piano mobile, che, spostandosi rispetto ad uno vincolato (di solito sono innestati nel silicio e prodotti in gran parte da ST Microelectronics), produce, appunto per attrito delle parti, un segnale elettrico di intensità variabile a seconda del movimento. Serve da impulso per le diverse centraline elettroniche che controllano i sistemi di sicurezza o le parti meccaniche (sospensioni di tipo elettronico) delle auto e delle moto. Ormai, con l’industrializzazione dei MEMS arrivata ai massimi livelli di produzione, non si può fare di meglio: questi dispositivi sono ciò che si definisce una tecnologia matura. Significa che allo stato dell’arte non è possibile renderli più efficienti.

 

SENSORI FUTURI E PIÙ SENSIBILI Ma non è detta l’ultima parola. Una soluzione per ottenere sistemi di sicurezza più efficaci esiste. È quella di ridurre le dimensioni dei cervelli elettronici, passando da MEMS a NEMS, che significa Nano Electro Mechanical System, cioè sistemi elettromeccanici di dimensioni nano (10 elevato alla meno nove metri). Però, su questa scala, che in poche parole è a livello atomico, le misure degli attriti, sino ad oggi, erano ancora ignote. Li avevano scoperti in Germania, con uno studio iniziale condotto con una sorta di microscopio (definizione impropria dato che stiamo parlando di nano e non di micro), i ricercatori Thomas Bohlein, Jules Mikhael, Clemens Bechinger, che avevano pubblicato un testo sull’osservazione di “solitoni” e “antisolitoni” nei materiali colloidi. Questi materiali furono scelti per risolvere un problema essenziale: è impossibile osservare al microscopio come si comportano due superfici rigide (per esempio dei semimetalli come il silicio utilizzati nei MEMS), quando “sfregano” una sull’altra, ma il colloide può sostituire la superficie superiore, cioè quella che si muove sull’altra vincolata (per produrre l’impulso elettrico), e le sue proprietà di attrito si riescono a valutare al microscopio. Oltre a ciò, il colloide offre il vantaggio di poter assumere le proprietà fisiche di qualsiasi altro materiale, attraverso una sollecitazione che si fa con dei laser. Quindi consente di fare degli studi di laboratorio utilizzando i collodi che si vedono al microscopio ma in realtà riproducono gli stessi attriti del materiale che si vorrebbe studiare e impiegare nella produzione industriale (per esempio possono assumere le proprietà del titanio). I tre fisici avevano capito che nello sfregamento fra le superfici dei due materiali, su entrambe si generano delle zone di addensamento degli atomi, chiamate solitoni (in rosa nella foto), ed altre di rarefazione, chiamate antisolitoni (in bianco), e che un bilanciamento in grado di aumentare il numero di solitoni che si respingono fra di loro e quindi tendono a scivolare, fa diminuire gli attriti e può rendere i NEMS più efficaci.

 

LA CHIAVE DEL PROBLEMA Tra il micro e il macro, però, c’è di mezzo la matematica e non solo per l’unità di misura. Ai ricercatori del primo studio mancava la formula per misurare il bilanciamento, che adesso c’è. È nata al numero 16 di via Celoria, dove ha sede la facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di Milano (Unimi). Qui, abbiamo incontrato il professor Nicola Manini, che, in collaborazione con i colleghi Erio Tosatti e Andrea Vanossi, ha scoperto il modello matematico che consentirà di misurare gli attriti per ottenere dei sistemi NEMS efficienti ed efficaci nella funzione di “cervelli” per la sicurezza delle moto. Adesso che c’è la base fisica, l’ingegneria dovrà fare il suo corso. Il professor Manini ha, infatti, spiegato ad Automobilismo che “il compito di un fisico è quello di fare delle valutazioni sulla materia, ma sono poi gli ingegneri a trasformare le scoperte della fisica in prodotti industriali”.

 

ATTRITI La conoscenza degli attriti a livello nanometrico potrà contribuire a migliorare lo sviluppo di altri prodotti, come per esempio gli oli lubrificanti, che sono materiali viscosi e la cui efficacia è fortemente legata agli attriti, oltre ad alcune componenti degli pneumatici. Il rotolamento è, infatti, legato a fenomeni macroscopici e microscopici, però, con il fatto che le ricerche da cui nascono le mescole diventano sempre più complesse, è probabile che vi trovino utilità le conoscenze degli attriti nanometrici.

 

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