Tecnica: air bag
Introduzione
Atterrare sul morbido è, per l’umanità,
un vecchio sogno. Paradossalmente meno difficile da realizzare per i nostri
antenati remoti, che tutt’al più cadevano dagli alberi, che per i nostri
nonni, inscatolati in prodotti realizzati dall’industria in base a principi
e materiali che ponevano la resistenza sopra ogni cosa. Sicché la Fiat
128 aveva facilmente la meglio sui più ostinati muretti e paracarri.
L’idea prevalente che la scocca dovesse realizzare una gabbia solidissima
per la protezione degli occupanti trascurava infatti la possibilità che
essi si vi sfracellassero poi contro dall’interno. Per non parlare delle
conseguenze di un impatto contro un eventuale pedone.
È solo a partire dalla fine degli anni
Settanta che i progettisti hanno iniziato a preoccuparsi sistematicamente
e “scientificamente” della protezione degli occupanti. Un’attenzione
sollecitata dal vertiginoso aumento del traffico e con esso degli incidenti:
sono così arrivati Abs ed ESP per la sicurezza attiva, e mille interventi
per quella passiva: dal crash test all’air bag.
Atterrare sul morbido è, per l’umanità,
un vecchio sogno. Paradossalmente meno difficile da realizzare per i nostri
antenati remoti, che tutt’al più cadevano dagli alberi, che per i
nostri
nonni, inscatolati in prodotti realizzati dall’industria in base a
principi
e materiali che ponevano la resistenza sopra ogni cosa. Sicché la Fiat
128 aveva facilmente la meglio sui più ostinati muretti e
paracarri.
L’idea prevalente che la scocca dovesse realizzare una gabbia solidissima
per la protezione degli occupanti trascurava infatti la possibilità che
essi si vi sfracellassero poi contro dall’interno. Per non parlare delle
conseguenze di un impatto contro un eventuale pedone.
È
solo a partire dalla fine degli anni Settanta che i progettisti hanno iniziato
a preoccuparsi sistematicamente e “scientificamente” della
protezione
degli occupanti. Un’attenzione sollecitata dal vertiginoso aumento del
traffico e con esso degli incidenti: sono così arrivati Abs ed ESP per
la sicurezza attiva, e mille interventi per quella passiva: dal crash test
all’air bag.
L'inerzia
L’air bag è solo la punta dell’iceberg
di un complesso programma di interventi sul veicolo che si inquadrano in
una diversa concezione di come proteggere. Le strutture moderne, più che
robuste, devono infatti essere in grado di assorbire la massima frazione
possibile dell’energia dell’impatto. Questo cambio di prospettiva è legato
alla meccanica dell’urto del veicolo, che possiede una certa energia
cinetica legata alla sua massa e alla sua velocità. Questa energia è
il risultato della conversione dell’energia chimica del carburante in
energia meccanica, che mette in movimento l’automobile con i suoi occupanti
vincendo gli attriti, la resistenza aerodinamica e l’inerzia. L’inerzia
è la proprietà dei corpi di mantenere il proprio stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme, ed è la responsabile del fatto che per accelerare
si debba spendere potenza motrice, per rallentare potenza frenante e in
curva si venga schiacciati verso l’esterno. Sempre con l’inerzia si devono
fare i conti in caso di incidente.
Se torniamo all’esempio dell’urto
frontale contro un muretto (il primo ad essere regolamentato dal crash
test), il muro è fermo e l’automobile arriva con il suo capitale di energia
cinetica, che sarà azzerato (velocità pari a zero) alla fine dell’urto.
Il gruzzoletto cinetico della vettura viene quindi interamente speso nell’
impatto,
in cui i modi di spenderlo non sono molti: è possibile rompere o deformare
in modo permanente (plastico) delle strutture, e produrre calore. La rottura
dissipa una quantità di energia piuttosto ridotta: per questo è meglio
che sia l’automobile, e non il muretto a cedere; deformandosi nell’impatto,
è inoltre lei, e non il corpo di chi è a bordo, ad assorbire l’energia
dell’urto. Se l’automobile uscisse del tutto indenne dall’impatto le
notizie del nostro carrozziere sarebbero probabilmente buone, ma quelle
dell’ortopedico lo sarebbero molto meno.
Avere a che fare con grandi quantità di energia in poco tempo significa
dover maneggiare grandi potenze. Per questo per dissipare la potenza di
un urto occorre l’artiglieria pesante: scocche a deformazione programmata,
colonne di sterzo collassabili, air bag. E la cintura? In sé non dissipa,
ma sposta la forza dell’impatto su una zona del corpo - la gabbia toracica
- che la natura ha già progettato per essere robusta.
L’air bag è solo la punta dell’iceberg
di un complesso programma di interventi sul veicolo che si inquadrano in
una diversa concezione di come proteggere. Le strutture moderne, più che
robuste, devono infatti essere in grado di assorbire la massima frazione
possibile dell’energia dell’impatto. Questo cambio di prospettiva
è legato
alla meccanica dell’urto del veicolo, che possiede una certa energia
cinetica legata alla sua massa e alla sua velocità. Questa
energia è
il risultato della conversione dell’energia chimica del carburante in
energia meccanica, che mette in movimento l’automobile con i suoi
occupanti
vincendo gli attriti, la resistenza aerodinamica e l’inerzia.
L’inerzia
è la proprietà dei corpi di mantenere il proprio stato di quiete
o di moto
rettilineo uniforme, ed è la responsabile del fatto che per accelerare
si debba spendere potenza motrice, per rallentare potenza frenante e in
curva si venga schiacciati verso l’esterno. Sempre con l’inerzia si
devono
fare i conti in caso di incidente.
Se
torniamo all’esempio dell’urto frontale contro un muretto (il primo
ad
essere regolamentato dal crash test), il muro è fermo e
l’automobile arriva
con il suo capitale di energia cinetica, che sarà azzerato
(velocità pari
a zero) alla fine dell’urto. Il gruzzoletto cinetico della vettura viene
quindi interamente speso nell’impatto, in cui i modi di spenderlo non
sono molti: è possibile rompere o deformare in modo permanente (plastico)
delle strutture, e produrre calore. La rottura dissipa una quantità di
energia piuttosto ridotta: per questo è meglio che sia
l’automobile, e
non il muretto a cedere; deformandosi nell’impatto, è inoltre lei,
e non
il corpo di chi è a bordo, ad assorbire l’energia dell’urto.
Se l’automobile
uscisse del tutto indenne dall’impatto le notizie del nostro carrozziere
sarebbero probabilmente buone, ma quelle dell’ortopedico lo sarebbero
molto meno.
Avere a che fare con grandi quantità di
energia in poco tempo significa dover maneggiare grandi potenze. Per questo
per dissipare la potenza di un urto occorre l’artiglieria pesante:
scocche
a deformazione programmata, colonne di sterzo collassabili, air bag. E
la cintura? In sé non dissipa, ma sposta la forza dell’impatto su
una
zona del corpo - la gabbia toracica - che la natura ha già progettato per
essere robusta.
Meccanismi d'innesco
L’air bag costituisce il completamento ideale della strategia di assorbimento
dell’energia cinetica, perché integra i meccanismi elasto-plastici tipici
delle scocche in metallo con meccanismi basati su fenomeni viscosi, ovvero
legati alla velocità con cui il gas si muove. Il nome air bag (“sacca
d’aria”) dà ovviamente preminenza all’aspetto visibile del sistema,
che si compone però di tre componenti distinti: i sensori, il sistema di
gonfiaggio e il pallone.
I sensori rilevano direttamente l’urto,
lasciando quindi pochissimo tempo per attivare l’air bag. Il sistema deve
valutare il tipo di urto e provvedere all’attivazione del meccanismo di
gonfiaggio in un tempo paragonabile al classico battito di palpebre. Ottenere
una reattività così fulminea non è facile, tanto è vero che quando all’ingegnere
aeronautico Carl Clark venne l’idea dell’air bag, lo pensò con sensori
radar in grado di individuare l’ostacolo prima dell’impatto, per dare
al pallone il tempo di gonfiarsi. Questa tecnologia sembra ora
destinata
a diffondersi anche sulle automobili; ma così non era al tempo dei primi
airbag commerciali. Gli ingegneri pensarono allora che il modo migliore
di reagire ad un evento impulsivo, come un urto, era attraverso un altro
evento impulsivo: un’esplosione. Il risultato furono i sistemi pirotecnici,
diffusi oggi anche nei pretensionatori delle cinture. La loro rapidità
nasce dal fatto che non hanno bisogno di cervello: si basano su processi
fisici che oltre una data soglia di decelerazione attivano i meccanismi
di innesco.
L’air bag costituisce il completamento
ideale della strategia di assorbimento dell’energia cinetica,
perché integra
i meccanismi elasto-plastici tipici delle scocche in metallo con meccanismi
basati su fenomeni viscosi, ovvero legati alla velocità con cui il gas
si muove. Il nome air bag (“sacca d’aria”) dà
ovviamente preminenza
all’aspetto visibile del sistema, che si compone però di tre
componenti
distinti: i sensori, il sistema di gonfiaggio e il pallone.
I
sensori rilevano direttamente l’urto, lasciando quindi pochissimo tempo
per attivare l’air bag. Il sistema deve valutare il tipo di urto e
provvedere
all’attivazione del meccanismo di gonfiaggio in un tempo paragonabile
al classico battito di palpebre. Ottenere una reattività così
fulminea
non è facile, tanto è vero che quando all’ingegnere
aeronautico Carl Clark
venne l’idea dell’air bag, lo pensò con sensori radar in
grado di individuare
l’ostacolo prima dell’impatto, per dare al pallone il tempo di
gonfiarsi.
Questa tecnologia sembra ora destinata a diffondersi anche sulle
automobili;
ma così non era al tempo dei primi airbag commerciali. Gli ingegneri
pensarono
allora che il modo migliore di reagire ad un evento impulsivo, come un
urto, era attraverso un altro evento impulsivo: un’esplosione. Il
risultato
furono i sistemi pirotecnici, diffusi oggi anche nei pretensionatori delle
cinture. La loro rapidità nasce dal fatto che non hanno bisogno di
cervello:
si basano su processi fisici che oltre una data soglia di decelerazione
attivano i meccanismi di innesco.
Come funziona
Questi meccanismi sono cugini dei sistemi utilizzati per avviare la combustione
del propellente solido nei razzi: la reazione che porta al gonfiaggio dell’
airbag
sfrutta combustibili solidi. La serie dei vantaggi che offrono è lunga:
compattezza, facilità di installazione, sicurezza, efficacia anche dopo
molti anni. Il principio di attivazione, relativamente semplice, si basa
su sensori di tipo inerziale, nei quali una piccola massa “sospesa”,
spostandosi a seconda dell’accelerazione, determina il passaggio di una
corrente elettrica attraverso una membrana sottile a contatto con il
combustibile
solido.
Questa corrente provoca un riscaldamento
della membrana, e se è sufficientemente intensa (ovvero la decelerazione
sufficientemente forte) la temperatura sale abbastanza da superare la soglia
di attivazione di una reazione chimica che libera rapidamente gas. In genere
si sfrutta la reazione fra sodio azide (NaN3) e nitrato di potassio (KNO3)
che rilascia azoto (N2), un gas non infiammabile e non tossico che costituisce
l’80% dell’aria. Il gas viene diretto nel pallone e lo gonfia in modo
quasi istantaneo, raffreddandosi mentre si espande. Il tempo di
gonfiaggio
è compreso tra 0,04 e 0,05 secondi; dopo 0,3 secondi, l’airbag deve già
essere sgonfio per consentire di abbandonare il veicolo. Di solito un
lubrificante
solido, come talco o amido di mais, aiuta il pallone ad aprirsi. L’air
bag sfrutta il gas in modo simile agli ammortizzatori pneumatici. Il pallone
presenta dei sottili passaggi che permettono al gas, dopo averlo riempito,
di uscire lentamente sotto la pressione del corpo dell’occupante, spinto
in avanti dalla forza di inerzia. La viscosità che il gas presenta nell’
attraversare
i passaggi permette all’air bag di assorbire l’energia cinetica dell’occupante
e convertirla in calore. La pressione viene calibrata per essere alta durante
l’urto, e poi scendere rapidamente per non sollecitare l’apparato scheletrico
e gli organi interni. In ogni caso la decelerazione è sostanzialmente imposta
dalla vettura: l’air bag distribuisce solo le pressioni sul corpo nel
modo più omogeneo possibile.
Questi meccanismi sono cugini dei sistemi
utilizzati per avviare la combustione del propellente solido nei razzi:
la reazione che porta al gonfiaggio dell’airbag sfrutta combustibili
solidi.
La serie dei vantaggi che offrono è lunga: compattezza, facilità
di installazione,
sicurezza, efficacia anche dopo molti anni. Il principio di attivazione,
relativamente semplice, si basa su sensori di tipo inerziale, nei quali
una piccola massa “sospesa”, spostandosi a seconda
dell’accelerazione,
determina il passaggio di una corrente elettrica attraverso una membrana
sottile a contatto con il combustibile solido.
Questa
corrente provoca un riscaldamento della membrana, e se è sufficientemente
intensa (ovvero la decelerazione sufficientemente forte) la temperatura
sale abbastanza da superare la soglia di attivazione di una reazione chimica
che libera rapidamente gas. In genere si sfrutta la reazione fra sodio
azide (NaN3) e nitrato di potassio (KNO3) che rilascia azoto (N2), un gas
non infiammabile e non tossico che costituisce l’80% dell’aria. Il
gas
viene diretto nel pallone e lo gonfia in modo quasi istantaneo, raffreddandosi
mentre si espande. Il tempo di gonfiaggio è compreso tra 0,04 e
0,05
secondi; dopo 0,3 secondi, l’airbag deve già essere sgonfio per
consentire
di abbandonare il veicolo. Di solito un lubrificante solido, come talco
o amido di mais, aiuta il pallone ad aprirsi. L’air bag sfrutta il gas
in modo simile agli ammortizzatori pneumatici. Il pallone presenta dei
sottili passaggi che permettono al gas, dopo averlo riempito, di uscire
lentamente sotto la pressione del corpo dell’occupante, spinto in avanti
dalla forza di inerzia. La viscosità che il gas presenta
nell’attraversare
i passaggi permette all’air bag di assorbire l’energia cinetica
dell’occupante
e convertirla in calore. La pressione viene calibrata per essere alta durante
l’urto, e poi scendere rapidamente per non sollecitare l’apparato
scheletrico
e gli organi interni. In ogni caso la decelerazione è sostanzialmente
imposta
dalla vettura: l’air bag distribuisce solo le pressioni sul corpo nel
modo più omogeneo possibile.
Intelligenti, ma non troppo
La sacca dell’air bag è realizzata in un sottile tessuto di nylon ripiegato
su se stesso, e il sensore è tarato per attivarla in corrispondenza di
un urto equivalente all’impatto contro un muro a 15-25 km/h. Nonostante
la semplicità del principio, la realizzazione del sistema è stata una conquista.
I primi sperimentatori si trovavano di fronte non solo al prezzo
proibitivo
dei componenti, ma anche a dubbi: se si potesse far entrare un
recipiente
di gas in pressione nell’abitacolo; se il contenitore sarebbe rimasto
efficiente per tutta la vita dell’automobile; come ottenere il dispiegamento
del pallone a diverse temperature, e senza che un “bang” esplosivo pericoloso
per i timpani degli occupanti. Problemi superati solo con l’arrivo dei
sistemi di gonfiaggio a combustibile solido, arrivati nel corso degli anni
‘70.
Stando alle statistiche, gli air
bag hanno salvato diverse decine di migliaia di vite, e limitato i danni
biologici in centinaia di migliaia di casi. La loro diffusione è però stata
accompagnata anche da notizie allarmanti (poi rientrate) circa una potenziale
pericolosità nei confronti dei portatori di occhiali, delle donne incinte,
dei bambini e in generale degli occupanti privi delle cinture di sicurezza,
non ovunque obbligatorie. Studi medici hanno in effetti mostrato che è
meglio non venire a contatto con il pallone finché la fase di gonfiaggio
non è completata, quando i gas hanno ancora molta energia cinetica: ecco
perché si raccomanda l’impiego della cintura di sicurezza. La cintura
è infatti anche una garanzia che il passeggero si trova nel posto e nella
postura previsti: se fosse disteso o seduto fuori posto (OOP), il pallone
potrebbe premere contro gli arti o la testa in modo anche violento. I primi
studi stabilirono che la zona di rischio è comunque limitata, nel caso
del guidatore, a distanze comprese tra 5 e 8 cm dalla zona di uscita del
pallone.
A prescindere dalla possibilità di impatti infelici con il pallone, alla
fine degli anni ‘80 rimanevano ancora problemi non proprio secondari.
Uno di questi era la decelerazione differenziale delle parti del corpo:
se la testa e il torace sono frenati dal pallone e il bacino no, nel corpo
si generano tensioni che potrebbero anche causare fratture o danni interni.
È soprattutto per questo che si stanno diffondendo sistemi di ritenzione
del bacino, miranti a impedire anche che si possa scivolare sotto l’air
bag (submarining).
La sacca dell’air bag è realizzata in
un sottile tessuto di nylon ripiegato su se stesso, e il sensore è tarato
per attivarla in corrispondenza di un urto equivalente all’impatto contro
un muro a 15-25 km/h. Nonostante la semplicità del principio, la
realizzazione
del sistema è stata una conquista. I primi sperimentatori si
trovavano
di fronte non solo al prezzo proibitivo dei componenti, ma anche a dubbi:
se si potesse far entrare un recipiente di gas in pressione
nell’abitacolo;
se il contenitore sarebbe rimasto efficiente per tutta la vita
dell’automobile;
come ottenere il dispiegamento del pallone a diverse temperature, e senza
che un “bang” esplosivo pericoloso per i timpani degli occupanti.
Problemi
superati solo con l’arrivo dei sistemi di gonfiaggio a combustibile
solido,
arrivati nel corso degli anni ‘70.
Stando
alle statistiche, gli air bag hanno salvato diverse decine di migliaia
di vite, e limitato i danni biologici in centinaia di migliaia di casi.
La loro diffusione è però stata accompagnata anche da notizie
allarmanti
(poi rientrate) circa una potenziale pericolosità nei confronti dei
portatori
di occhiali, delle donne incinte, dei bambini e in generale degli occupanti
privi delle cinture di sicurezza, non ovunque obbligatorie. Studi medici
hanno in effetti mostrato che è meglio non venire a contatto con il
pallone
finché la fase di gonfiaggio non è completata, quando i gas hanno
ancora
molta energia cinetica: ecco perché si raccomanda l’impiego della
cintura
di sicurezza. La cintura è infatti anche una garanzia che il passeggero
si trova nel posto e nella postura previsti: se fosse disteso o seduto
fuori posto (OOP), il pallone potrebbe premere contro gli arti o la testa
in modo anche violento. I primi studi stabilirono che la zona di rischio
è comunque limitata, nel caso del guidatore, a distanze comprese tra 5
e 8 cm dalla zona di uscita del pallone.
A prescindere dalla possibilità di impatti
infelici con il pallone, alla fine degli anni ‘80 rimanevano ancora
problemi
non proprio secondari. Uno di questi era la decelerazione differenziale
delle parti del corpo: se la testa e il torace sono frenati dal pallone
e il bacino no, nel corpo si generano tensioni che potrebbero anche causare
fratture o danni interni. È soprattutto per questo che si stanno
diffondendo
sistemi di ritenzione del bacino, miranti a impedire anche che si possa
scivolare sotto l’air bag (submarining).
Questione di taglia
Altro tema a lungo all’ordine del giorno è stato quello della taglia dell’
occupante.
Un air bag dev’essere abbastanza solido da trattenere un boscaiolo canadese
e abbastanza delicato da non stritolare una minuta studentessa cinese.
I primi erano dimensionati per adattarsi alla taglia nel 95% dei casi;
solo recentemente sono apparsi sistemi di modulazione del gonfiaggio, basati
su dispositivi di valutazione della posizione e della massa dell’occupante
e su aperture differenziali, controllate sempre dalla carica esplosiva,
che permettono a parte del gas di gonfiaggio di bypassare il pallone in
modo da adattarne la consistenza alla severità dell’urto e alla taglia
dell’occupante. È il caso, per esempio, dell’Active Vent System di TRW
o del Mechanical Proximity Sensing Low Risk Deployment Airbag di Delphi.
TRW ha anche brevettato un air bag fisso, che non ruota con la corona del
volante, il cui pallone può essere asimmetrico ed estendersi verso la sinistra
del guidatore per proteggerlo da urti contro il vetro o il montante anteriore.
Tale variante, basata su un ingranaggio circonferenziale che trasmette
il moto direttamente dalle razze del volante al piantone senza far ruotare
il modulo air bag, e senza sollecitare la corona, libera anche nuove possibilità
stilistiche che la Citroën C4 ha sfruttato per prima.
I sistemi adattabili alle taglie risolvono anche il problema della posizione.
È un risultato inevitabilmente legato all’introduzione di quell’intelligenza
di cui i primi sistemi facevano a meno, ma necessaria per decidere la migliore
strategia di attivazione e gonfiaggio. I calcoli sono limitati, ma
indispensabili.
Molti fornitori (da Bosch a Delphi) lavorano poi a sistemi pre-urto basati
su sistemi di tipo radar o sonar: il sogno di Clark potrebbe dunque avverarsi
presto.
Altro tema a lungo all’ordine del giorno
è stato quello della taglia dell’occupante. Un air bag dev’essere
abbastanza
solido da trattenere un boscaiolo canadese e abbastanza delicato da non
stritolare una minuta studentessa cinese. I primi erano dimensionati
per adattarsi alla taglia nel 95% dei casi; solo recentemente sono apparsi
sistemi di modulazione del gonfiaggio, basati su dispositivi di valutazione
della posizione e della massa dell’occupante e su aperture differenziali,
controllate sempre dalla carica esplosiva, che permettono a parte del gas
di gonfiaggio di bypassare il pallone in modo da adattarne la consistenza
alla severità dell’urto e alla taglia dell’occupante. È il caso, per
esempio, dell’Active Vent System di TRW o del Mechanical Proximity Sensing
Low Risk Deployment Airbag di Delphi. TRW ha anche brevettato un air bag
fisso, che non ruota con la corona del volante, il cui pallone può essere
asimmetrico ed estendersi verso la sinistra del guidatore per proteggerlo
da urti contro il vetro o il montante anteriore. Tale variante, basata
su un ingranaggio circonferenziale che trasmette il moto direttamente dalle
razze del volante al piantone senza far ruotare il modulo air bag, e senza
sollecitare la corona, libera anche nuove possibilità stilistiche che la
Citroën C4 ha sfruttato per prima.
I sistemi adattabili alle taglie risolvono
anche il problema della posizione. È un risultato inevitabilmente legato
all’introduzione di quell’intelligenza di cui i primi sistemi
facevano
a meno, ma necessaria per decidere la migliore strategia di attivazione
e gonfiaggio. I calcoli sono limitati, ma indispensabili. Molti fornitori
(da Bosch a Delphi) lavorano poi a sistemi pre-urto basati su sistemi di
tipo radar o sonar: il sogno di Clark potrebbe dunque avverarsi presto.
Problemi iniziali
Soprattutto sulle prime versioni, sono
stati rilevati effetti collaterali anche sgradevoli: qualche scottatura
dovuta al gas caldo e qualche abrasione. Nulla in confronto ai benefici,
ma sufficienti a far muovere i fornitori in direzione di dispositivi meno
aggressivi. Oltre ai sensori di taglia, sono stati sviluppati sistemi
di gonfiaggio a gas freddo e ibridi, alternativi a quelli pirotecnici.
Si tratta più o meno di quei sistemi a gas compresso che erano stati scartati
nelle prime applicazioni: tubi riempiti di gas in pressione, nei quali
il propellente viene impiegato in parte per riscaldare moderatamente il
gas e in parte per spingerlo fuori. Una volta nel pallone, il gas è in
grado sia di garantire sia la pressione richiesta per il primo impatto
che la pressione residua per fornire una protezione ulteriore in caso di
ribaltamento o urti multipli. TRW produce un sistema di gonfiaggio che
sfrutta la propagazione dell’onda d’urto generata nella camera di combustione
del propellente per rompere la membrana di contenzione del gas all’estremità
opposta del tubo e accelerare la fuoriuscita del gas. I sistemi a gas e
ibridi sono tendenzialmente più veloci di quelli a propellente solido,
cosa che li rende adatti agli air bag laterali (sidebag), a tendina e per
gambe e bacino (kneebag), che hanno bisogno di tempi di reazione inferiori.
Queste varianti, ormai comuni dai segmenti medi in su, hanno avuto una
messa a punto difficile, ma vitale: il 30% degli incidenti comprende impatti
laterali, nei quali si riporta il 40% circa dei danni fisici più gravi.
Ai protocolli di crash-test questa dinamica di impatto è stata quindi aggiunta
molto presto, definendo nuovi standard ai quali i costruttori hanno risposto
prima adottando le barre anti-intrusione, irrigidendo i montanti, e infine
introducendo sidebag collocati o negli schienali dei sedili – dove possono
dispiegarsi proteggendo l’occupante in funzione della sua effettiva posizione,
scuola Volvo e Mercedes – o nelle portiere – dove hanno molto più spazio
a disposizione e possono essere più grandi. scuola Bmw.
I sidebag presentano difficoltà tecniche
ancora maggiori, perché negli impatti laterali manca la barriera favorevole
di paraurti, telaio e motore, che deformandosi assorbono molta energia
e posticipano l’impatto del passeggero di 30-40 preziosi millisecondi.
In un impatto laterale solo pochi centimetri separano il corpo esterno
dall’occupante, e il sidebag deve iniziare ad aprirsi non più tardi di
5 ms dopo l’impatto! Una variante importante, i sidebag a tendina, che
scendono dal tetto per proteggere la testa e separarla dai vetri e dagli
oggetti esterni, fu presentata inizialmente da Bmw, che ne dotò fin dal
1999 tutte le sue vetture destinate al mercato USA. Oggi sono il cavallo
di battaglia negli USA di Honda. Questi sidebag “alti” rimangono gonfi
più a lungo, circa 5 secondi, per proteggere gli occupanti anche in caso
di più urti in successione (urti multipli).
La comprensione dei sistemi pirotecnici ha portato anche a sistemi derivati,
come la versione che solleva e inclina il cofano motore per proteggere
i pedoni dall’urto contro il parabrezza in caso di investimento. Il tema
è complesso, ma l’aumento dei punti assegnati dagli organismi di certificazione
in tema di protezione pedonale potrebbe fornirgli una forte spinta. Questo
dispositivo ha esordito sulla nuova Jaguar XK.
Soprattutto sulle prime versioni, sono
stati rilevati effetti collaterali anche sgradevoli: qualche scottatura
dovuta al gas caldo e qualche abrasione. Nulla in confronto ai benefici,
ma sufficienti a far muovere i fornitori in direzione di dispositivi meno
aggressivi. Oltre ai sensori di taglia, sono stati sviluppati sistemi
di gonfiaggio a gas freddo e ibridi, alternativi a quelli pirotecnici.
Si tratta più o meno di quei sistemi a gas compresso che erano stati
scartati
nelle prime applicazioni: tubi riempiti di gas in pressione, nei quali
il propellente viene impiegato in parte per riscaldare moderatamente il
gas e in parte per spingerlo fuori. Una volta nel pallone, il gas è in
grado sia di garantire sia la pressione richiesta per il primo impatto
che la pressione residua per fornire una protezione ulteriore in caso di
ribaltamento o urti multipli. TRW produce un sistema di gonfiaggio che
sfrutta la propagazione dell’onda d’urto generata nella camera di
combustione
del propellente per rompere la membrana di contenzione del gas
all’estremità
opposta del tubo e accelerare la fuoriuscita del gas. I sistemi a gas e
ibridi sono tendenzialmente più veloci di quelli a propellente solido,
cosa che li rende adatti agli air bag laterali (sidebag), a tendina e per
gambe e bacino (kneebag), che hanno bisogno di tempi di reazione inferiori.
Queste varianti, ormai comuni dai segmenti medi in su, hanno avuto una
messa a punto difficile, ma vitale: il 30% degli incidenti comprende impatti
laterali, nei quali si riporta il 40% circa dei danni fisici più
gravi.
Ai protocolli di crash-test questa dinamica di impatto è stata quindi
aggiunta
molto presto, definendo nuovi standard ai quali i costruttori hanno risposto
prima adottando le barre anti-intrusione, irrigidendo i montanti, e infine
introducendo sidebag collocati o negli schienali dei sedili – dove possono
dispiegarsi proteggendo l’occupante in funzione della sua effettiva
posizione,
scuola Volvo e Mercedes – o nelle portiere – dove hanno molto
più spazio
a disposizione e possono essere più grandi. scuola Bmw.
I
sidebag presentano difficoltà tecniche ancora maggiori, perché
negli impatti
laterali manca la barriera favorevole di paraurti, telaio e motore, che
deformandosi assorbono molta energia e posticipano l’impatto del
passeggero
di 30-40 preziosi millisecondi. In un impatto laterale solo pochi
centimetri
separano il corpo esterno dall’occupante, e il sidebag deve iniziare ad
aprirsi non più tardi di 5 ms dopo l’impatto! Una variante
importante,
i sidebag a tendina, che scendono dal tetto per proteggere la testa e separarla
dai vetri e dagli oggetti esterni, fu presentata inizialmente da Bmw, che
ne dotò fin dal 1999 tutte le sue vetture destinate al mercato USA. Oggi
sono il cavallo di battaglia negli USA di Honda. Questi sidebag
“alti”
rimangono gonfi più a lungo, circa 5 secondi, per proteggere gli
occupanti
anche in caso di più urti in successione (urti multipli).
La comprensione dei sistemi pirotecnici
ha portato anche a sistemi derivati, come la versione che solleva e inclina
il cofano motore per proteggere i pedoni dall’urto contro il parabrezza
in caso di investimento. Il tema è complesso, ma l’aumento dei
punti assegnati
dagli organismi di certificazione in tema di protezione pedonale potrebbe
fornirgli una forte spinta. Questo dispositivo ha esordito sulla nuova
Jaguar XK.
Nuovi materiali
Ma ci sono novità persino sul fronte dei materiali. Potrebbe arrivare
fra non molto l’ennesimo travaso tecnologico dal settore aerospaziale:
pare infatti che i Sandia National Laboratories, che studiano tecnologie
militari per conto del Governo USA, abbiano ceduto ad industrie civili
un paio di brevetti per realizzare nanomotori, grandi come un granello
di sabbia, basati su principi della meccanica quantistica. I nanodispositivi
sono in rapidissima evoluzione e le loro proprietà li rendono appetibili
per molte applicazioni: dalla telefonia, alla chirurgia, ai controlli per
le testate nucleari. Nell’automobile, verrebbero sfruttati come sensori
di impatto molto più precisi degli attuali. Non solo: applicati a
milioni
sulla superficie del sacco per modularne la forma, potrebbero infine risolvere
l’annoso problema degli urti multipli. Per ora è solo un sogno. Ma Clark
insegna: anche i sogni si avverano.
Ma ci sono novità persino sul fronte
dei materiali. Potrebbe arrivare fra non molto l’ennesimo travaso
tecnologico dal settore aerospaziale: pare infatti che i Sandia National
Laboratories, che studiano tecnologie militari per conto del Governo USA,
abbiano ceduto ad industrie civili un paio di brevetti per realizzare
nanomotori,
grandi come un granello di sabbia, basati su principi della meccanica
quantistica.
I nanodispositivi sono in rapidissima evoluzione e le loro proprietà li
rendono appetibili per molte applicazioni: dalla telefonia, alla chirurgia,
ai controlli per le testate nucleari. Nell’automobile, verrebbero
sfruttati
come sensori di impatto molto più precisi degli attuali. Non solo:
applicati
a milioni sulla superficie del sacco per modularne la forma, potrebbero
infine risolvere l’annoso problema degli urti multipli. Per ora è solo
un sogno. Ma Clark insegna: anche i sogni si avverano.