07 July 2011

Tecnica: alla (RI)CARICA!

Ci siamo: la tecnologia elettrica è pronta,le batterie sono affidabili, le auto funzionano. Ma davvero avremo tutti 4 ore da dedicare a ciascuna ricarica?Non ci crede nessuno.....

Intro

Agosto 2030, decimo governo Berlusconi. Vi preparate ad andare al mare con la vostra nuova auto elettrica, pagata con uno sforzo, molte rate e un piccolo incentivo statale. Valige, passeggeri, il triciclo del piccolo, viveri per il viaggio: l’auto è stracolma. Il viaggio è di 450 km, ma l’autonomia delle batterie di ultima generazione non è male, oltre 300 km a velocità autostradale. C’è solo da prevedere una sosta intermedia, giusto il tempo di ricaricare, sgranchirsi le gambe, fumare una sigaretta, prendere un caffè, fare un salto in toilette, pranzare in autogrill e guardarsi un film mentre il pupo fa un pisolino. Già, perché ricaricare la batteria richiede tra le 3 e le 4 ore.

 

Scenario accettabile? Probabilmente no. Come evitarlo, però, non è ancora chiaro. C’è chi elimina il problema alla radice sostenendo che le auto elettriche resteranno confinate al contesto urbano; per affrontare spostamenti più lunghi continueremo a usare idrocarburi, anche se in veicoli ibridi ad altissima efficienza. C’è chi parla dell’idrogeno, che a pari ingombro consente autonomie molto più elevate rispetto alle batterie. Ma c’è anche chi la sfida dell’elettrico vuole accettarla in pieno, e vuole farlo ora.

 

La tecnologia per la trazione elettrica è praticamente pronta già oggi, nel senso che non si prevedono sviluppi drammatici: la densità energetica delle batterie non dovrebbe aumentare di molto nei prossimi 10 anni, e l’efficienza dei motori elettrici è già così alta che i miglioramenti possibili sono marginali. Il vero punto da affrontare è dunque quello dell’infrastruttura per la distribuzione dell’energia e la ricarica delle batterie. Questo è per inciso il grande vantaggio dell’elettricità rispetto all’idrogeno: la disponibilità di strutture di generazione e di una rete di distribuzione che sono già alla scala richiesta per alimentare le auto – si stima che la rete elettrica USA possa già oggi alimentare senza scompensi fino a 70 milioni di auto elettriche, nell’ipotesi che siano tutte ricaricate di notte.

 

Un fatto cruciale, dal momento che l’adeguamento della rete è un’operazione più lunga, complessa e costosa di quanto possa essere l’adeguamento del parco circolante. Soprattutto perché non è chiaro chi debba pagare i costi di adeguamento…

Sostituire la batteria...

Su un veicolo elettrico la batteria è il vero analogo del motore, dovendo convertire l’energia chimica. Infatti è qui, e non nel motore elettrico, che si trova l’equivalente per complessità della termodinamica del motore a scoppio. La batteria è la prima responsabile di tutte le prestazioni del veicolo, e pensare di sostituirla batteria è un po’ come pensare di sostituire il motore su un’auto convenzionale: già oggi in molti casi l’elettronica di bordo non tollera interruzioni di corrente, per cui occorre prevedere una batteria-tampone che “copra” il periodo richiesto dalla sostituzione e stabilire procedure rapide e sicure.

 

Che non si tratti di un’operazione semplice lo si capisce anche dalle condizioni pratiche: auto diverse dovranno disporre di uno stesso tipo di batteria (che sarà magari prodotta in multipli di una configurazione di base per differenziare utilitarie, medie e ammiraglie) e di interfaccia; il peso di queste batterie non saranno i pochi kg di un’odierna batteria al piombo da 50 Ah (0,6 kWh), ma le diverse decine di kg di unità almeno cinquanta volte più capaci. Il tutto richiede un vero e proprio “cambio di paradigma”: probabilmente a possedere la batteria non sarà più l’automobilista bensì la società energetica che si occupa delle batterie, e l’automobilista pagherà insieme l’energia, il noleggio della batteria e il costo della ricarica (ammesso che sia ancora lui a possedere l’auto, il che non è detto). Insomma quella di sostituire le batterie scariche è un’idea che sembra buona solo finché non si pensa ai dettagli, perché per mettere in pratica un programma del genere ci vuole la collaborazione di migliaia di persone: le Case automobilistiche, gli Enti di definizione degli standard, le compagnie fornitrici di elettricità, i governi degli Stati.

 

Ci vuole un’ambizione smisurata, al limite del visionario: proprio quella che spinge Shai Agassi, il giovane imprenditore israeliano che ha fondato nel 2007 Project Better Place, un nome che è tutto un programma. Agassi è partito con un lungo tour per cercare adesioni alla sua idea, e ha trovato le prime in patria, in Danimarca e a San Francisco, dove ha avviato progetti pilota, raccogliendo anche l’impegno di Renault, che dalla fusione con Nissan ha acquisito molta tecnologia elettrica. Ecco perché all’ultimo Salone di Francoforte accanto allo stand Renault c’era uno stand Better Place, ed ecco perché i riflettori della Casa erano puntati quasi per intero su ben 4 prototipi elettrici con il sistema di sostituzione veloce Quickdrop della batteria, destinati a costituire l’ossatura dell’offerta a partire dal 2012; la Fluence EV è in vendita in Danimarca già dal 2011.

 

 

La capacità di coinvolgimento mostrata da Agassi è impressionante: dal nulla è già riuscito a coinvolgere una grande Casa, alcune nazioni e fornitori di tecnologia del calibro di Continental, per la parte telematica e multimediale, Intel e Microsoft per la parte di gestione e controllo, che sarà affidata a un vero e proprio sistema operativo sviluppato da Better Place, AutoOS, destinato a calcolare l’autonomia, occuparsi della diagnosi e comunicare con la rete. Quest’ultima costituisce la vera rivoluzione di Better Place: Agassi ha previsto una sorta di centrale operativa destinata a vegliare su tutti i veicoli circolanti, in modo da organizzare le richieste dell’infrastruttura (quantità di energia necessaria e sua localizzazione), localizzare le colonnine di ricarica più vicine e legarne la raggiungibilità alle condizioni del traffico e allo stile di guida. È evidente che un compito del genere, moltiplicato prima per migliaia e poi per milioni di veicoli, è enormemente complesso ed è proprio nella dimensione che sta la vera sfida di Agassi, che mira a partire con un sistema già funzionante alla scala definitiva.

 

Del resto è proprio da questo che i suoi partner sono attratti: la possibilità di aprire in tempi rapidissimi un grande mercato anche in geografie come l’Europa e gli USA, economicamente e culturalmente in grado di spendere molto ma non in automobili tradizionali, di cui sono da tempo sature. E ventilando l’apertura di un immenso mercato di servizi per sviluppatori dotati di iniziativa, come è accaduto con l’Apple iPhone, Agassi ha acceso i sogni e gli entusiasmi anche dei manager e dei politici più prudenti.

Dall'uso all'abuso....

Ma gli specialisti delle batterie non hanno del tutto rinunciato all’idea che una sola batteria basti per un’auto. E se non sembra possibile aumentarne il contenuto energetico, non è detto che non si possa invece accelerare la ricarica. Questa strada passa per l’abuso, come viene chiamata la ricarica in condizioni lontane da quelle ottimali. La batteria è come un recipiente che può essere riempito più in fretta aumentando la “portata” di corrente in ingresso, ovvero sottoponendola a tensioni molto elevate. Questo pone diversi problemi, perché le tensioni elevate sono un costo per essere ottenute e sono pericolose per l’uomo.

 

Soprattutto, livelli elevati di tensione causano un forte degradamento della batteria stessa, perché inducono fenomeni irreversibili (di solito variazioni nella granulometria dei sali depositati) che ne riducono progressivamente la capacità. Che la strada giusta sia quella di lavorare su questo punto è convinto il taiwanese Donald Wu, capo tecnologo di PHET. La compagnia da lui fondata, citata tra le 200 industrie più innovative di Forbes, realizza (su brevetto canadese Goodenough) le batterie C-LiFe che, stando al dottor Wu, sarebbero “le più sicure del mondo”. Tutte le altre secondo lui o sono insoddisfacenti in termini di ciclaggio, o lo sono in termini di sicurezza. Wu passa la maggior parte del suo tempo a pensare ai veicoli elettrici e alle batterie al litio. “Non basta conoscere l’elettrochimica, c’è una forte componente di meccanica delle polveri, senza contare l’elettronica.”

 

L’elettronica, e in parte le nanotecnologie, sono al cuore della rivoluzione moderna delle batterie. Il BMS (Battery Management System), che gestisce la carica e scarica, e il VBB (Voltage Balance Board), che mantiene i voltaggi omogenei ed impedisce la sovrac- carica, garantiscono il funzionamento regolare e buona parte dei requisiti di sicurezza. Ma la tecnologia automotive si sta ancora sviluppando. Donald Wu propone il suo DOSBAS, un sistema semplice e affidabile nel quale le celle sono estraibili, sostituibili e protette singolarmente da un fusibile. Ciò aumenta il costo e ruba un po’ di spazio, ma permette di rimpiazzare le singole celle e non l’intera batteria in caso di avaria: una caratteristica che, in previsione dell’utilizzo su strada, non è affatto disprezzabile.

 

 

E forse non è un caso se la Tesla, la sportiva su telaio Lotus capace di 365 km di autonomia e di 3,9 secondi nello 0-100, utilizza 6.831 singole celle come quelle impiegate nelle macchine fotografiche digitali. Mentre tutti rincorrono perenni aumenti di capacità e potenza, Wu si preoccupa degli aspetti meno pubblicizzati: la durata di vita, la sicurezza di funzionamento, il costo di produzione. E se la gente si aspetta sempre la scoperta che risolva tutti i problemi, per molti anni ancora si tratterà di stabilire il miglior compromesso tra tutte le esigenze: un compito che può richiedere ben più tempo, esperienza e intuito che non lo sviluppo della tecnologia in sé. “Di solito queste tecnologie diventano molto meno interessanti quando si tratta di uscire dai laboratori e andare per strada”, considera Wu.

 

 

La precisione richiesta da queste batterie è tale che basta il processo industriale porti a una cella dal comportamento leggermente diverso rispetto alla cella realizzata in laboratorio perché le cose vadano storte; e passare da batterie per elettronica di consumo a batterie per veicoli elettrici richiede un fattore di scala di 100, che aumenta anche i rischi. “Tutti mi chiedono i grandi formati,” dice Wu, “ma nessuno sa cosa può succedere con una batteria al litio di grande formato. Dove c’è accumulo di energia c’è sempre pericolo: che sia benzina, idrogeno o una batteria, anche se la C-LiFe resta la più sicura. In caso di incidente, brucia solo la cella coinvolta, senza fumo e la temperatura non supera i 300 °C.” Ma la grande scommessa di Wu è un’altra, e riguarda proprio il processo di ricarica.

 

Sta lavorando a nuove chimiche per la prossima generazione di batterie, che vuole anche non tanto più dense delle attuali, quanto più resistenti all’abuso. “Ho in mente un salto tecnologico completo. Sto parlando di batterie che durano 20 o 50 anni. Di una batteria così robusta è chiaro che posso anche abusare: anche con tensioni di ricarica elevatissime, otterrò ancora una durata normale di 5 o 10 anni e tempi di ricarica ridotti a qualcosa come 5 minuti, che sarebbero del tutto accettabili.” C’è da dire che per trasferire parecchi kWh di energia in 5 minuti servirebbero voltaggi così elevati da essere impraticabili in un contesto domestico: occorrerebbero quindi comunque delle stazioni dedicate.

Se l'auto è wireless...

Il dottor Wilfried Nietschke ha un nome importante. Anzi un cognome. Anche se con una k in più. Ma del suo quasi omonimo non ha nulla, se non la brillantezza intellettuale. Dirige l’R&D di IAV, una importante società di ingegneria tedesca: sotto di lui ci sono 300 fra i migliori ingegneri di Germania. Incontriamo Nietschke per farci spiegare il suo sogno, tanto ambizioso quanto futuristico: la ricarica senza cavi. L’idea è di sfruttare l’induzione elettromagnetica, il principio che tiene sospeso il treno a levitazione magnetiva MagLev e, molto più prosaicamente, scalda il pentolame su fornelli che rimangono freddi, grazie all’interazione fra un campo magnetico e speciali piastre metalliche. Una tecnologia che sta per arrivare nelle case per i pochi Watt necessari a cellulari e PC portatili, e che declinata in senso automobilistico permetterebbe di realizzare l’equivalente di un filobus senza fili, con cavi in rame annegati nell’asfalto e una piastra da applicare alla parte inferiore della vettura per intensificare l’effetto.

 

Nulla di particolarmente magico, anche se rispetto al trasferimento dei segnali radio le potenze in gioco rendono tutto molto più complesso: si parla di parecchi kW se si vuole fornire una quantità di carica adeguata in qualche decina di minuti, nei lunghi viaggi autostradali. Il principio fisico è lo stesso del trasformatore: ci sono due avvolgimenti, uno primario che fornisce l’energia (i cavi interrati) e uno secondario che la riceve (il dispositivo di bordo). La corrente che percorre il circuito primario genera un campo magnetico che a sua volta richiama, appunto per induzione, corrente nel circuito secondario. I vantaggi sono rilevanti: la ricarica in movimento permette di rinunciare a prese, colonnine e stazioni di ricarica; il processo di ricarica, con correnti modeste, è favorevole alla durata di vita delle batterie; la ricarica può avvenire automaticamente, sia in parcheggio che in movimento, senza che il conducente se ne debba preoccupare.

 

Ma come si è detto la fisica pone seri ostacoli al trasferimento di potenze dell’ordine di 50-100kW a distanze di qualche decina di centimetri (tra l’asfalto e la piastra): perché la tecnologia sia interessante bisogna mantenere i rendimenti attorno al 95%, il che obbliga a usare costosi superconduttori (come sul MagLev) o a salire con le frequenze della corrente oltre i 1000 Hz, valori solo da poco tecnologicamente sfruttabili. Una volta superati questi ostacoli, però, la soluzione promette di essere economicamente competitiva: basta interrare due cavi di rame, con costi del tutto sopportabili, e realizzare qualche stazione di ricarica (da 10 kW) per le soste. Al lavoro sulla trasmissione wireless di potenza ci sono aziende in tutto il mondo: i più convinti in campo auto sono proprio quelli del consorzio tedesco costituito da IAV, VAHLE, IMAB e l’Università di Braunschweig. Nietschke ci crede più di tutti. Chissà se, nel XXI secolo, la volontà di potenza...

Le ultime news video

© RIPRODUZIONE RISERVATA