Analizziamo la storia di queste due vetture, cercando di scoprire il perché del “fenomeno 75”, travolgente al punto da oscurare la sua stessa progenitrice, quando notoriamente nel collezionismo automobilistico le versioni “prime” sono sempre più ambite e considerate. Eppure la 75 è figlia in tutto e per tutto della Giulietta, dalla quale eredita cellula abitacolo, porte, cristalli e praticamente quasi tutta la meccanica. Cos’ha allora la 75 di così speciale? I fattori da analizzare sono diversi. Andiamo per ordine. Anzitutto, il momento storico. La Giulietta nasce in un periodo particolare, in cui la crisi petrolifera degli anni ‘70 ha portato a ridurre le spese, i consumi e di conseguenza le prestazioni delle automobili.
Il modello debutta sottotono, con due soli motori, 1.3 e 1.6, ed è allestita in maniera “leggera”, con arredi, criteri costruttivi e ruggine di quegli anni; non ha manie di grandezza: selleria senza pretese e strumentazione piccola e poco leggibile trasmettono una modernità dimessa, che non vuole infastidire la più ambita Alfetta, che a fine decennio viaggia invece all’apice della car riera. La Giulietta è poi il primo tentativo dell’Alfa Romeo di produrre una vettura “moderna”, e di fatto è un modello di transizione tra due decenni molto diversi tra loro, un ibrido tra lo stile “ferro e cromo” (le prime Alfetta e Alfasud) e le “plasticone” tanto apprezzate negli anni Ottanta.
Per capirci, è una macchina ancora coi paraurti metallici, ma verniciati di nero, perdendo quindi il fascino del vecchio senza avere ancora la praticità del nuovo. Una sorta di ibrido che, più in generale, oggi non ha l’appeal di una storica né l’affidabilità di una moderna. E poi è stata una delle pochissime Alfa Romeo a non avere una carriera sportiva, che non era stata negata neanche alla modesta Alfasud. Qualcuno ricorda una Giulietta in gara? No, perché nei progetti di Arese la Giulietta non doveva essere troppo sportiva; e di fatto, con il motore 1.3 sottodimensionato, e i grandi 1.6, 1.8 e 2.0 penalizzati dai rapporti lunghi, non lo era. Per chi voleva più “motore”, già dalla 1.6 c’era l’Alfetta, rispetto alla quale la Giulietta è sempre stata vista come la sorella “povera”.
Alla 75 è toccata invece una sorte diversa (leggi qui). Da molti considerata l’ultima vera Alfa Romeo, capitolo finale del progetto “Alfetta”, del motore longitudinale, della trazione posteriore, del De Dion e soprattutto della gestione pre-Fiat, nasce senza complessi di inferiorità. Al livello superiore c’è l’Alfa 90, che è il macchinone da manager senza velleità sportive; il compito di berlina “cattiva” tocca quindi a lei, che trova una sua collocazione ben precisa e differenziata dal resto della gamma Alfa Romeo. Eredita parte delle linee di rottura della Giulietta, che all’epoca non avevano convinto tutti, e le ripropone in maniera più misurata, sapientemente rinfrescata. Corre nel campionato Turismo e, anche se non vince granché, con la versione “Evoluzione” crea l’illusione di poter portare a casa una vera macchina da corsa. Altro punto cruciale, sostituisce proprio la tiepida Giulietta, mentre a quest’ultima era toccato il gravoso compito di sostituire l’insostituibile: un mostro sacro come la Giulia. Tanti elementi che dopo aver premiato all’epoca le vendite della 75 rispetto alla Giulietta, hanno amplificato notevolmente il gradimento dei collezionisti di oggi, che della 75 apprezzano soprattutto la maggior fruibilità e, cosa non da poco, anche la migliore resistenza alla ruggine.
Last-but-not-least, la 75 ha montato motori che la Giulietta poteva solo sognare: 1.8 Turbo, sei cilindri 2.5 e 3.0 e, su tutti, il mitico 2.0 Twin Spark a doppia candela. E chiunque non sia digiuno di automobilismo sa quanto conti il motore giusto per ogni “Alfista” . C’era la Turbodelta, certo, ma con 361 esemplari praticamente non fa testo. La consacrazione definitiva della 75 arriva, infine, non soltanto per meriti propri, ma anche per demeriti altrui: in particolare della triste e mai davvero apprezzata 155, figlia della filosofia del “poca spesa tanta resa” dei nuovi padroni torinesi, inferiore alla vecchia 75 dal punto di vista meccanico, stilistico e costruttivo. Basti pensare che la 75 resisterà su alcuni mercati fino al 1994, perché la clientela continuerà a preferirla alla sua erede costruita su pianale condiviso della Fiat Tipo. Neanche un clamoroso e inarrestabile successo sportivo potrà ridare alla nuova nata l’appeal della vecchia 75. La regola del “vinci la domenica, vendi il lunedì” non si applica alla Storia.