EPOCA: Alfa Romeo 2000 GT Veloce - Porsche 911 T 2,2: universi paralleli

Due auto vicine in tante cose, all’epoca, come lo erano i rispettivi costruttori L’Alfa Romeo poteva diventare quello che oggi è Porsche?

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E’ opinione piuttosto diffusa che se l’Alfa Romeo non avesse conosciuto le travagliate vicende che ha avuto, oggi sarebbe quello che è diventata la Bmw. Non c’è la prova del nove, quindi questa affermazione si basa unicamente sulla logica e sulla conoscenza storica di cosa erano le due marche quando erano ancora vicine come numeri produttivi, articolazione della gamma e successi sportivi. Prendendo spunto dai 70 anni della Porsche, nata quando l’Alfa Romeo era già un realtà consolidata, benché già in crisi (e benché Porsche in quanto ufficio tecnico avesse già progettato fior fiore di automobili) abbiamo fatto un passo in più e, pur temendo di farlo più lungo della gamba, ci siamo chiesti se Alfa Romeo non sarebbe potuta diventare simile a quello che Porsche è diventata.

È il 1970, il modello più sportivo di Alfa Romeo è la Giulia GT Junior, che al Portello decidono di allineare, nella motorizzazione, alle più recenti berline di gamma superiore cioè la 1750 e la 2000. Il nome cambia non a caso in GT Veloce: la 1750 (presentata nel 1967) ha 132 Cv SAE; la 2000 addirittura 150 Cv SAE. Con il peso di una tonnellata mal contata, le prestazioni sono eccezionali: la 2000 sfiora i 200 km/h.

Nello stesso periodo, Porsche ha appena fatto salire alla 911 il primo scalino della cilindrata, passando da 2 a 2,2 litri, per una potenza di 125, 155 e 180 Cv rispettivamente nelle versioni T, E ed S. Il coupé tedesco si giova di prestazioni assolute, soprattutto in accelerazione, difficilmente eguagliabili dalle concorrenti dirette grazie al motore, 6 cilindri boxer raffreddato ad aria, posteriore a sbalzo. Nello stesso periodo le due Case sono simili anche nell’esperienza sportiva, che ne informa da sempre il dna stesso.

Ma mentre l’Alfa Romeo, in mani pubbliche, non può essere insensibile ai tanti turbamenti che caratterizzano la vita pubblica italiana di quegli anni, e che peggioreranno negli anni a venire, Porsche sotto la guida sportiva del giovane Ferdinand Piech mostra i muscoli producendo 25 esemplari completi della 917, la Sport di 5 litri per le gare di durata che dominerà nel 1970 e nel 1971 il Mondiale Marche.

Anche l’Alfa Romeo è grande protagonista negli stessi anni, ma per paradosso pur avendo come azionista di maggioranza lo Stato italiano (tramite l’IRI) non ha la forza politica, prima ancora che economica, per lottare ad armi pari con Stoccarda, dovendosi limitare a vincere nella sua categoria, quella riservata ai Prototipi di 3 litri. Le validissime 33/3 vincono comunque anche qualche gara assoluta e saranno iridate nel 1975 e 1977. Dal punto di vista industriale però, Porsche ha già una missione ben chiara, mentre il Biscione in quegli anni passa dall’inventarsi la 33 Stradale, favolosa auto da corsa targata che la rete vendita non è preparata a gestire, alla sua “auto del popolo”: l’Alfasud.

In quel momento, l’automobilista italiano appassionato di alte prestazioni ha due auto, tolte le irraggiungibili Ferrari e Maserati, che possono soddisfare la sua voglia di prestazioni: l’Alfa Romeo Giulia 2000 GT Veloce e la Porsche 911 2,2 T. Cilindrata e potenza simili, prestazioni simili ma impostazione tecnica opposta e prezzo piuttosto diverso. La tedesca costa una volta e mezzo circa l’italiana (3,980 milioni di lire la prima, 2,675 la seconda); ma la differenza di prezzo in larga parte è dovuta al fatto che la lira è già in difficoltà nel confronto del marco tedesco, che sta prendendo le fattezze di locomotiva europea. Per il resto, la 2000 GT Veloce ha una qualità costruttiva, soprattutto per quanto riguarda la protezione dalla corrosione e lo standard qualitativo e le finiture, leggermente inferiore alla 911, che ancora oggi lascia meravigliati, quando si apre il cofano motore, per la razionalità e la qualità costruttiva all’interno del vano.

A proposito di motori: la Giulia GTV si affida al conosciuto bialbero in lega leggera, con valvole al sodio e altre soluzioni di eccellenza. Il bialbero Alfa ha le canne cilindri riportate in ghisa speciale, sedi valvole riportate, camere di scoppio emisferiche, bielle in acciaio speciale, pistoni in lega leggera con due segmenti di tenuta e un raschiaolio, cuscinetti di banco e di biella a guscio sottile, coppa dell’olio in lega leggera. È un motore che ha goduto dello sviluppo derivante da anni di corse Turismo, dove ha ottenuto vittorie a ripetizione. La 911 2,2 fa parte della serie C, che oltre all’aumento di cilindrata ha anche un’altra importante modifica rispetto alla precedente: il basamento fuso in lega di alluminio/magnesio, per alleggerire il motore nel tentativo di migliorare la distribuzione del peso della macchina. Nel tempo, questa soluzione si rivelerà poco affidabile, con una certa fragilità, e da questo punto di vista l’Alfa Romeo, con la sua grande tradizione di fonderia, si rivela superiore perché il suo 4 cilindri ha un’affidabilità a prova di bomba. Altre novità della 911 in questa configurazione sono le barre antirollio e i freni a disco ventilati, tutte cose presenti anche sulla GTV già sulla 1750 del 1967.

La 911 inizia proprio a cavallo tra fine anni ’60 e inizio ’70 ad avere quell’assiduità con i circuiti che la renderà poi estremamente competitiva nella classe fino a 2,5 litri, potendo godere dello sviluppo derivante dalle corse. Il motore 6 cilindri boxer, raffreddato ad aria, ha un’indiscutibile attrattiva sull’appassionato. Di lì a pochi anni, la forbice tra le due Case inizierà ad allargarsi. La Giulia GT sarà sostituita nel 1974 dalla nuova coupé del Portello, l’Alfetta GT, più grande, più comoda, ma non più prestante visto che i motori resteranno gli stessi ma con potenza inferiore per migliorarne i consumi. Si dovrà attendere l’arrivo del V6 di Busso per ritrovare le prestazioni delle migliori Alfa. Anche la Casa milanese avrà il suo 6 cilindri, eccellente come il 4 bialbero, ma a quel punto, 1980, non basterà per ricucire il distacco dalla Porsche. Che nel frattempo avrà portato la cilindrata della 911 a 3 litri, anche Turbo, sarà divenuta regina di Le Mans, e si appresterà a vivere la sua crisi mettendo in discussione proprio il modello di punta, ma uscendone rafforzata alla fine. Si può allora affermare che l’Alfa Romeo avesse le potenzialità per fare un percorso come quello della Porsche? Dal punto di vista tecnico senz’altro: ne abbiamo avuto la riprova mettendoci al volante delle due auto di questo confronto, in rapida sequenza. La 2000 GTV ha un motore ineguagliato tra i 4 cilindri, una linea attuale quanto quella della 911, il fascino del marchio e un gusto nella guida di riferimento, come la tenuta di strada e la stabilità. Tutte doti proprie anche della 911, a parte la tenuta di strada e la stabilità che sappiamo essere materia per guidatori molto esperti quando si approfitta appieno della disponibilità di prestazioni; il sound del sei cilindri, la facilità di guida ad andatura normale dovuta anche alla leggerezza dello sterzo sconosciuta a qualsiasi altra auto in quegli anni senza servosterzi, e la qualità costruttiva, compensano abbondantemente.

Siccome però l’appassionato la vede sempre a modo suo, com’è giusto che sia, non ci siamo fidati di noi stessi. Perciò, abbiamo chiesto ai nostri due proprietari, non integralisti al punto da non vedere le qualità dell’altra auto, ma abbastanza appassionati da spiegare il perché abbiano scelto la propria, di scambiarsi le auto. E di dirci la loro opinione a volanti invertiti. Entrambi hanno acquistato l’auto in questione qualche anno fa, quando le due protagoniste erano già storicizzate e per certi versi sublimate nei rispettivi pregi e difetti, che per un cultore, si sa, possono spesso perfino diventare pregi a loro volta. Nessuno dei due l’ha fatto per investimento, non potendo immaginare che la crescita di valore fosse impetuosa come in effetti è stata, né avendo alcuna intenzione di speculare sulla propria passione. È il momento in cui la Storia è fatta e si può tornare indietro con obbiettività ma senza troppe responsabilità per rispondere alla domanda se mezzo secolo fa le due marche avessero nel dna cromosomi simili che, se sviluppati nello stesso modo da entrambe, avrebbero potuto portare ad avere, anche in Italia, ciò di cui possono vantarsi in Germania (anche alla faccia del famigerato spread).
Scendere da una Porsche 911 dei primi anni ’70 e salire su un’Alfa Romeo GT Veloce coeva (o viceversa) è un’esperienza non comune, anche perché chi ha in garage un’auto di Stoccarda molto raramente ha anche un’auto di Arese (sempre “o viceversa”). Ho trovato molto diverse la posizione di guida, la visibilità, la disposizione delle marce e soprattutto il sound: quasi lacerante sulla 911, quando si superano i 5000 giri; cupo e possente quello del bialbero italiano. Comunque, entrambi molto coinvolgenti. Da “porschista”, la dote che più mi ha colpito della GTV 2000 è senza dubbio l’incredibile elasticità del quattro cilindri: si può riprendere in terza quasi da fermo senza alcun tentennamento. L’elasticità si paga un po’ in termini di allungo, ma in generale il motore è comunque molto prestazionale, tanto più parlando di un’auto di quasi cinquant’anni. Mi è piaciuto molto il cambio, che ho trovato ben migliore di quello della 911 nonostante l’escursione lunga della leva (caratteristica peraltro comune alla 911); anche frizione e freni mi sono sembrati molto positivi. L’auto di Rodolfo montava cerchi più larghi e assetto leggermente ribassato e ciò influisce ovviamente sul comfort, rispetto alla mia 911 che è originale, ma rimanendo comunque in limiti più che accettabili.
Nell’autunno di qualche anno fa decido che è tempo di coronare un antico sogno, quello di possedere l’ultima e la più evoluta versione della gloriosa stirpe delle coupé su base Giulia, la 2000 GT Veloce. Il momento è quello giusto, perché le quotazioni non sono ancora altissime, la disponibilità è abbastanza buona e il mercato inizia a dare i primi segnali di crescita. Prendo quindi il coraggio a due mani e mi predispongo alla caccia. Mi pongo come obiettivo di evitare restauri troppo impegnativi e di concentrarmi sul conservato. Condizione imprescindibile: targhe nere, magari addirittura di prima immatricolazione. Nel giro di un paio di mesi individuo, grazie agli annunci online e a quelli sulle principali riviste del settore, alcune offerte interessanti. Seleziono le cinque o sei più promettenti e, con l’aiuto del mio tecnico di fiducia, Lorenzo Maspes di Como, inizio le visite in loco. Al quarto appuntamento però ho già deciso: la macchina è bellissima, un semi conservato cui è stato fatto un leggero lifting estetico per riportare la vernice originale blu pervinca alla brillantezza perduta, interno immacolato in panno nocciola, percorrenza circa 90.000 km (mi fido, perché tutto, anche i pedali, denuncia un’usura molto contenuta), motore revisionato e vano motore impeccabile. Vista sotto, appare un avantreno perfetto con ammortizzatori Kӧni e un retrotreno pulitissimo. Il motore gira rotondo, dallo scarico non si vede fumo e cambio e differenziale sono silenziosissimi. Una verifica al Centro Documentazione di Automobilismo Storico Alfa Romeo certifica che questa 2000 GT Veloce è stata prodotta l’8 Maggio 1972 e venduta a Bassano del Grappa il 17 Maggio dello stesso anno. La targa Vicenza è proprio quella d’origine, mai cambiata dal secondo proprietario, sempre di Vicenza, e per fortuna neanche dal terzo, residente a Milano. Avuto il benestare tecnico da Maspes, si conclude l’affare.
Viste le condizioni della macchina, si decide di effettuare seduta stante il passaggio di proprietà e di tornare a casa, da Alessandria a Como, con la macchina. In officina si provvede alla sostituzione precauzionale dei lubrificanti e ad una ispezione generale. Il responso conferma la prima diagnosi: tutto a posto, salvo una lieve imprecisione dello sterzo (la scatola è da revisionare) e il cruscotto portastrumenti con un attacco a vite fessurato. Sistemati i due problemi, approfittando dell’inverno mite organizzo una piccola gita con mia moglie sul Lago di Como. L’intervallarsi di vecchie stradine strette e di altre a scorrimento più veloce mi permette di saggiare a fondo le qualità stradali e lo stato di salute reale della mia Alfa. Prima impressione: il motore è fantastico, potente ed elastico, riprende con forza inaspettata dai 3.000 giri in su, ma in quinta marcia già dai 2.500 basta un filo di gas per accelerare con una progressione irresistibile. Cambio non velocissimo ma preciso, sterzo ok, freni perfetti, tenuta di strada ottima ma con quel caratteristico coricamento che un po’ mi disturba. Valutati pro e contro, concludo che un ultimo regalo me lo posso fare. Trovo con facilità nell’after-market molle più robuste e appena più corte e una barra antirollio anteriore maggiorata. E poi la ciliegina finale, irrinunciabile per un appassionato: cerchi in lega d’alluminio 6,50x14” tipo GTA, perfetta replica degli originali in magnesio. Montato il tutto, il risultato è eccellente. La 2000 ora è equilibrata, piatta e rigida (ma non troppo) come piace a me, si guida che è un piacere, con l’autobloccante che ti facilita nel sovrasterzo di potenza. Un godimento che cresce ulteriormente quando la si osserva da vicino: una linea bellissima, il blu pervinca metallizzato che acquista delle nuances molto seducenti con la luce del primo mattino o del tramonto, l’assetto leggermente ribassato che le dà grinta, così come i nuovi cerchi che alloggiano molto meglio degli originali “millerighe” gli pneumatici 185/70-14, come da omologazione. Una macchina magnifica da ogni punto di vista: la ricomprerei subito, proprio come il signore che me l’ha venduta sei anni fa, non per nulla, a suo dire, pentitissimo.
Ho la personale convinzione che le auto non vadano cercate, perché sono loro che trovano noi... Erano i primi anni Duemila quando incappai in un annuncio di vendita lapidario: “Porsche 911 Coupé anni ‘70, vendo; Piacenza”. Solitamente chi inserisce annunci di vendita su internet infarcisce l’offerta con descrizioni mirabolanti. In questo caso, l’assenza di informazioni e di telefono attirò la mia curiosità, perciò fissai un appuntamento via e-mail a partii alla volta di Piacenza per un primo contatto. Il resto della vicenda assomiglia a quelle leggende metropolitane che si tramandano al bar... L’auto apparteneva ad un anziano signore che era mancato anni prima; dopodiché la moglie e i figli l’avevano conservata per ricordo, ma ormai era diventata un peso per loro e avevano deciso di venderla “non svenderla”, ci tennero a sottolineare. Inutile dire che la 911, la 2,2 T del 1970 di queste pagine, color Rosso Burgundi, era in condizioni immacolate, originale in tutto e per tutto, mai restaurata, con la giusta patina del tempo e soprattutto in perfette condizioni meccaniche, con documenti originali e due soli precedenti proprietari. Così la piccola 911 trovò una nuova casa e un nuovo proprietario, attento e premuroso come i precedenti, e finì affiancata a una 911 2,4 S Targa del 1973 acquistata qualche anno prima. Agli occhi di un profano le due Porsche 911 sembrerebbero simili invece hanno un carattere ben diverso. Innanzi tutto la 911 T 2.2 è molto più “vintage” grazie all’abbondanza di cromature che vanno dalla griglia motore ai contorni delle plastiche dei fari alle grigliette anteriori (e questo esemplare ha i cerchi in ferro con le coppe ruota cromate anch’esse). Ma è alla guida che le differenze risultano più marcate, la 911 T è un’onesta GT da guidare senza troppe pretese corsaiole, mantenendo l’ago del contagiri tra i 4.000 e i 5.000 giri e godendo soprattutto della coppia, oltre è inutile insistere… La “S” invece dopo i 5.000 giri ha ancora tutto un mondo da scoprire, la paratia all’aspirazione si apre, lo scarico diventa un urlo lancinante e in pochi secondi la lancetta del contagiri schizza oltre i 7.000 catapultando il guidatore a velocità che negli anni ’70 erano inimmaginabili per i comuni mortali.
Quando hai il cuore a forma di Biscione è difficile mantenere la giusta lucidità, anche se ti siedi al volante di un mito come la 911, non importa in quale versione. Questa 2.2 T però è molto bella, sia perché il mix è quello giusto, bel colore, cerchi in acciaio e non i soliti Fuchs, perfettamente conservata e mai restaurata, sia perché nei primissimi anni ’70 era proprio lei la naturale rivale della 2000 GT Veloce e non la più potente e costosissima versione S. Quando accendo il motore quindi lo faccio con rispetto e un po’ di circospezione, curioso di risentirne la voce metallica. E subito mi faccio prendere dalla melodia del 6 cilindri di Stoccarda. Ingrano la prima con qualche difficoltà, per la frizione un po’ affaticata e non per l’inconsueta posizione delle marce, e parto dolcemente. Accelero senza esagerare e cerco subito la seconda. La cerco ma non la trovo, perché vago con la leva che si muove di qua e di là come un fuscello al vento. Il diavoletto alfista mi dice subito con una certa commiserazione un bel “Lo sapevo…”, ma pur rimpiangendo il cambio della mia fida Alfa mi concentro e la seconda alla fine è ingranata. Con la terza ci sono meno problemi, intanto però apprezzo la pastosa consistenza del motore, la sua generosità nell’allungare l’andatura e la sua bella voce quando canta a pieni polmoni. Arriva un tornante: frenata perfetta, massima concentrazione per la scalata in seconda (perfettamente riuscita con tanto di doppietta, che bravo!) e sorpresa: lo sterzo è fantastico, dolcissimo e preciso come solo una sportiva di gran classe può vantare. Mi sento a mio agio e comincio a considerare che in fondo queste due magnifiche auto più che rivali sono due grandi amiche, accomunate da un’unica pregevole caratteristica progettuale: la passione per la bella guida.
Motore Tipo 00512, anteriore longitudinale, 4 cilindri in linea, alesaggio e corsa 84 x 88,5 mm, cilindrata totale 1962 cc, rapporto di compressione 9:1, potenza 150 CV-SAE a 5.500 giri, coppia 20,6 kgm-SAE a 4.400 giri, distribuzione due alberi a camme in testa azionati da doppia catena, due valvole al sodio per cilindro, accensione spinterogeno, alimentazione 2 carburatori doppio corpo orizzontali Weber 40 DCOE32 o Dellorto DHLA 40, lubrificazione forzata con pompa ingranaggi, raffreddamento ad acqua Impianto elettrico 12 Volt, batteria 60 Ah, dinamo 300 Watt Trasmissione Trazione posteriore, frizione monodisco a secco, cambio a 5 marce + RM, rapporti: I 3,30 - II 1,99 - III 1,35 - IV 1 - V 0,79 Rapporto finale coppia conica ipoide 4,10:1; cerchi 7,5 - 14” Pneumatici anteriori e posteriori 165 HR14 Corpo vettura Carrozzeria portante in acciaio, coupé 2 porte, 2+2 posti Sospensioni: anteriori a ruote indipendenti, bracci trasversali e biella obliqua, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici, barra stabilizzatrice; posteriori ponte rigido, braccio longitudinale, stabilizzatore a T, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici, barra stabilizzatrice Freni a disco sulle quattro ruote (anteriori auto ventilati) Sterzo a vite e rullo Capacità serbatoio carburante 46 litri Dimensioni (in mm) e peso Passo 2.350 Carreggiata anteriore 1.324 Carreggiata posteriore 1.274 Lunghezza 4.100 Larghezza 1.580 Altezza 1.328 Peso a vuoto 990 kg Prestazioni Velocità massima 195 km/h Consumo medio 9,5 litri/100 km.
Motore Posteriore a sbalzo, 6 cilindri boxer raffreddato ad aria, alesaggio e corsa 84 x 66 mm, cilindrata 2195 cc, rapporto di compressione 8,6:1, potenza 125 CV a 5800 giri, coppia 18 kgm a 4200 giri Distribuzione monoalbero in testa per bancata, 2 valvole per cilindro, comando a catena Alimentazione a due carburatori triplo corpo Weber 40 (oppure Zenith), filtro aria a secco Impianto elettrico 12 V, 2 batterie 36 Ah, alternatore 30 A 770 W Lubrificazione forzata a carter secco con serbatoio dell’olio separato, filtro a cartuccia, radiatore dell’olio Trasmissione Trazione posteriore Frizione monodisco a secco Cambio a 4 marce sincronizzate (a richiesta 5 marce), + RM, comando a leva centrale, rapporto al ponte: 7/31; rapporti cambio a 4 marce: I 3,091; II 1,633; III 1,040; IV 0,759; R 3,127; rapporti cambio a 5 marce: I 3,091; II 1,778; III 1,218; IV 0,926; V 0,759; R 3,127 Pneumatici 165/80-15 (a richiesta 185/80-14 o 185/70-15) Corpo vettura Carrozzeria coupé 2 porte, 2+2 posti, portante in acciaio Sospensioni a ruote indipendenti, barre di torsione, ammortizzatori idraulici, ant McPherson, bracci trasversali, post bracci obliqui Freni a disco sulle 4 ruote Capacità serbatoio benzina 62 litri Dimensioni (in mm) e peso Passo 2268 Carreggiata anteriore 1362 Carreggiata posteriore 1343 Lunghezza 4163 Larghezza 1610 Altezza 1320 Peso a vuoto 1020 kg Prestazioni Velocità massima 205 km/h Consumo medio 9 litri per 100 km.
Tratto da Automobilismo d’Epoca – Giugno 2018

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