21 December 2015

Alfa Romeo GIULIETTA SZ (1961) e S.Z. ES 30 (1989)

La S.Z ES 30 è stata l’ultimo modello frutto della tecnologia Alfa: trazione posteriore, meccanica di classe e prestazioni elevatissime. Sulla pista di Balocco entrava ed usciva in curva con velocità mediamente superiori di 6-9 km/h rispetto alla pur validissima 75 3.0 V6...

Intro

Il cammino della Carrozzeria Zagato, fondata nel 1919 da Ugo Zagato, si è in più di un’occasione incrociato con il percorso evolutivo dell’Alfa Romeo. La collaborazione tra queste due firme ha originato auto leggere, spesso costruite con tecniche di derivazione aeronautica, che hanno trovato valida applicazione nelle corse. In altre occasioni ne è emerso uno stile innovativo e fortemente personale, come nel caso della 1900 SSZ del 1954, un elegante coupé dall’inconfondibile muso prominente e arrotondato (tema oggi ripreso sulle Alfa moderne) che troviamo reinterpretato nella sua erede, la 2600 SZ del 1965.

Il lavoro di Zagato ha donato alle meccaniche Giulietta e Giulia GT un vigoroso dinamismo, visibile ad esempio nella SZ del 1960 e nella Junior Zagato del 1969. Ma ha concepito anche leggere e resistenti strutture tubolari rivestite con carrozzerie aerodinamicamente efficienti, come è avvenuto con le Giulia TZ e TZ2 da competizione costruite a Feletto Umberto (UD) dall’Autodelta di Carlo Chiti e dei fratelli Lodovico e Gianni Chizzola. Stupire creando qualcosa di diverso da tutti. Questo sembra essere il motto dell’atelier milanese. “Vedi quell’auto? È diversa da tutte le altre? Allora è una Zagato”. Sono parole di Elio, il figlio di Ugo. Rendono l’idea di ciò che è stato, ed è ancora ai giorni nostri, il filo conduttore che lega tra loro le auto carrozzate dall’atelier milanese: quindi anche le “sue” Alfa Romeo, dalla SZ... alla SZ.

Nella seconda metà degli anni ’80 riaffiora negli automobilisti più sportivi la voglia di correre, di dimenticare quanto dieci anni prima andassimo con il “piede leggero” per timore di consumare troppo. Non che, passate le crisi energetiche, fare il pieno fosse diventato una formalità, tutt’altro. C’era però un diffuso ottimismo che portava a desiderare un tipo d’automobile quasi scomparso: il coupé, secondo un concetto in base al quale le prestazioni vanno rese evidenti attraverso forme che “parlino” anche a vettura ferma.

Cessata nel 1986 la produzione della GTV6 2.5, nel listino della casa di Arese mancava una sportiva vera, di alta gamma. C’erano le versioni top della 75 e dell’ammiraglia 164, ma erano pur sempre sportive “a metà”: prestazioni elevate, personalizzazione estetica, ma carrozzeria berlina. Iniziò così, sotto la guida dell’ingegnere Stefano Iacoponi, allora direttore dell’Ingegneria Alfa Romeo, lo studio di un coupé che desse al mercato un segnale tangibile, il messaggio chiaro che l’Alfa Romeo voleva mantenere viva la tradizione di marca all’avanguardia. E a trazione posteriore, anche se si percepiva chiaramente che questo schema era destinato a occupare uno spazio di nicchia nel futuro “torinese” del Biscione.

Il progetto ES 30 (Experimental Sportscar 3.0 litri) nasce così sulla base meccanica della 75 3.0 V6, vale a dire su quanto di meglio l’Alfa Romeo allora disponesse in termini di unità motrice, cilindrata e prestazioni. Se nel recente passato i coupé di casa Alfa montavano l’identico motore della berlina, lasciando al telaio e al minor peso il compito di fare la differenza in termini di prestazioni, sulla ES 30 (in seguito ribattezzata S.Z., che sta per Sport Zagato) la potenza è aumentata, passando dai 188 CV della 75 3.0 a 207. Che non era un incremento da urlo. Diventava quindi importante, per esaltare le prestazioni, il ruolo del telaio e dell’aerodinamica.

Da ciò scaturì un’automobile straordinaria, con linee da dream-car. La ES 30 non passa certo inosservata, con quel frontale aggressivo, l’ampio paraurti e i sei fari quadrati inseriti in una calandra stretta e sviluppata in orizzontale. Immancabile lo scudetto Alfa Romeo, qui disegnato in modo nuovo. È privo di profili ed è parte stessa del cofano, non della calandra. Bella la resa estetica della parte terminale inferiore dello scudetto che entra nel paraurti. Il marchio della Casa, di solito al centro nella parte alta dello scudetto, sulla SZ è invece alloggiato sul cofano, al termine del lungo rilievo che, originando proprio dallo scudetto, va progressivamente allargandosi verso il parabrezza.

Completa il frontale il sottile spoiler posto al di sotto del paraurti. La linea di una sportiva deve rendere palpabile il dinamismo: la ES 30 pare incunearsi nell’aria, vincendone la resistenza con il minimo sforzo. La forte inclinazione del parabrezza, raccordato senza soluzioni di continuità alla linea curva che disegna il padiglione e il lunotto, permette all’aria di scivolare senza turbolenze al di sopra della carrozzeria. Sul prototipo in galleria del vento fu ottenuto un soddisfacente andamento dei flussi d’aria addirittura senza la presenza di un alettone posteriore, in seguito aggiunto per aumentare il carico deportante utile a garantire una tenuta di strada elevatissima.

E qui tocchiamo uno dei punti che costituirono il nucleo focale della progettazione della SZ: le qualità stradali. Le esperienze sviluppate in Alfa Romeo negli anni del ritorno in F. 1 e nelle gare IMSA con la 75, furono utili per sviluppare il progetto aerodinamico e telaistico della vettura in modo da ottenere una certa percentuale di effetto- suolo. La SZ, con le pur validissime gomme Pirelli P Zero (allora montate anche sulla Ferrari F40), ma pur sempre di vent’anni fa, arrivava a 1,3 g. Prove comparative condotte da Giorgio Pianta a Balocco, misero in luce le superiori doti di maneggevolezza e tenuta di strada della SZ nei confronti della pur validissima 75 3.0 V6. Il giro, sul circuito di 5,5 km, era coperto in un tempo di ben dieci secondi inferiore a quello fatto segnare dalla 75. Il maggiore brio era evidente nei tratti misti e in curva, dove la SZ entrava ed usciva con velocità mediamente superiori di 6-9 km/h rispetto alla 75, mentre in rettilineo il guadagno era assai più contenuto (circa un secondo e mezzo), data la vicinanza nella potenza tra i due modelli.

Vista di profilo, la SZ mostra di essere ben schiacciata a terra. Questa caratteristica non è estetica, ma ha la precisa funzione di aumentare il carico deportante che è influenzato dall’altezza da terra del fondo vettura. Anche vista da dietro la SZ impressiona. La coda alta, i fianchi squadrati che marcano gli ampi passaruota, fanno di questo coupé un vero “mostro” da strada: esattamente l’intento iniziale dei designer. Completa l’estetica la fascia scura orizzontale comprendente i gruppi ottici, con le luci retronebbia alloggiate invece nel paraurti. L‘interno è votato alla sportività: due posti secchi, perché lo spazio dietro gli schienali anteriori serve per il bagaglio. I sedili rivestiti in pelle, disegnati da Zagato, hanno un profilo avvolgente con ampi appoggi per le gambe e supporti laterali di contenimento per i fianchi. Il volante, regolabile, è anch’esso frutto della matita di Zagato e fu sviluppato in collaborazione con la Momo. Bella e funzionale anche la resa estetica dei pannelli porta, anch’essi rivestiti in pelle.

La plancia, formata in resina, dove pelle e inserti in fibra di carbonio donano un tocco di futuristica eleganza, ospita una strumentazione completa, idonea a fornire a chi guida le informazioni nel modo più facilmente percepibile grazie a strumenti analogici circolari incassati e protetti dai riflessi. Essa ospita i comandi dell’impianto di climatizzazione derivati dalla normale produzione Alfa Romeo del periodo. Un cenno particolare merita la costruzione della scocca. Il telaio è una struttura in acciaio sopra la quale è incollata la carrozzeria formata da elementi compositi stampati a iniezione a freddo in Modar (un metacrilato termoindurente) e fibra di vetro. Fanno eccezione il tetto (in alluminio) e l’alettone posteriore in fibra di carbonio. La tecnologia dei materiali compositi aveva preso piede in vari settori, come la F. 1, il tennis o lo sci per esempio.

Era la punta di diamante utile anche a rendere tangibile il messaggio “high-tech” che costituiva uno dei punti di forza del progetto. Fra l’altro l’impiego del Modar, associato ai trattamenti anticorrosione del sottoscocca e della struttura di base in acciaio (cataforesi e sigillatura delle parti scatolate), garantisce alla ES 30 una protezione contro la ruggine migliore rispetto alle vetture di normale produzione.

La RZ....

Prodotta dal 1989 al 1991, nel 1992 la SZ proseguì con la RZ cabriolet. Ebbe meno fortuna della SZ, pur ripetendo in chiave aperta quegli stessi contenuti che erano alla base del progetto della sorella con carrozzeria chiusa. La RZ aveva un sistema di apertura e chiusura della capote analogo a quello della spider, assistito da molle per facilitare le operazioni. A differenza della SZ, che fu prodotta nel solo colore rosso (ad eccezione di quella per il figlio di Elio Zagato che fu verniciata di nero), questa cabrio poteva essere scelta nei colori rosso Alfa, giallo e nero. Oggi la SZ è un classico Alfa Romeo da collezione. Attraverso le sue linee senza tempo, lo spirito della Casa milanese viene percepito nella sua completezza: meccanica raffinata, doti stradali superlative e autentico piacere di guida.

Erano sei le Giulietta in listino nel 1961: due versioni berlina, due spider e due Sprint. Tre corpi vettura con due livelli di potenza sulla base della stessa cilindrata. Un’offerta in grado di accontentare qualsiasi esigenza, non diciamo portafoglio perché auto come la Giulietta non erano propriamente popolari. Come mai tanta abbondanza? La ragione va cercata da un lato nell’usanza di completare la berlina affiancandole la spider e il coupé, da un altro nella voglia di sfruttare la velocità delle Giulietta in gara. Ed è proprio da qui che prende origine la storia della Giulietta SZ. Due fratelli milanesi, che di nome fanno Carlo e Dore Leto di Priolo, hanno un incidente nel corso della Mille Miglia del 1956 dal quale la loro Giulietta Sprint Veloce esce seriamente danneggiata.

Cosa fa allora Carlo? Dopo aver constatato che non era conveniente riparare il danno, si reca presso la carrozzeria Zagato per far ricostruire la vettura, che alla fine del lavoro, durato all‘incirca quattro mesi, risulta ben più leggera e con una linea che ricorda quella della Fiat 8V. La scelta di Leto di Priolo non è casuale: la Carrozzeria Zagato si era guadagnata una solida reputazione allestendo leggere e profilate carrozzerie che parevano fatte apposta per esaltare le doti dinamiche delle auto sportive. E difatti Leto di Priolo, a Monza, vince la Coppa Intereuropa. Il suo esempio è subito seguito da altri piloti e la Zagato si trova a dover sostituire le carrozzerie originali con quelle prodotte in casa. Ma il lavoro è tanto: e allora, per soddisfare la richiesta dei numerosi gentleman driver attratti dalla competitività delle “zagatine” (così soprannominate), ma soprattutto constatato che le Alfa Romeo riviste e corrette da Elio Zagato vanno più veloci di quelle ufficiali, la Casa milanese decide di commissionare alla Carrozzeria Zagato lo studio di una nuova versione su base Giulietta.

Il lavoro è completato poco prima di Natale del 1959 e presentato, con leggere modifiche, al Salone di Ginevra nel marzo del 1960, dove la nuova Giulietta è battezzata con il nome di SZ che sta per “Sprint Zagato”. Basandosi sulla meccanica della Giulietta Sprint Speciale, Zagato reinterpreta il corpo vettura tenendo presente che l’unico modo di migliorare le prestazioni, a parità di motore, non può che passare dall’alleggerimento del corpo vettura e la riduzione del suo coefficiente di forma.

Due obiettivi da raggiungere contenendo le dimensioni della carrozzeria, utilizzando leghe leggere, disegnando linee prive di spigoli, arrotondate e ben raccordate tra loro e riducendo per quanto possibile la sezione maestra della vettura. Ne deriva un’auto dal muso spiovente e dalla coda bassa e raccolta, nella quale gli sbalzi della carrozzeria sono ridotti al minimo, i paraurti eliminati assieme a tutti quegli abbellimenti (profili cromati, sottoporta...) che nelle auto da famiglia arricchiscono l’immagine del modello. L’unica concessione al “superfluo” è il marchio posto sul parafango anteriore e l’inevitabile ricorso ai profili cromati che sottolineano lo scudetto e il musetto della SZ, oltre alle cornici lungo il parabrezza, il lunotto e i finestrini laterali. E’ un’auto concepita e costruita pensando all’impiego in gara: di qui l’assenza di quell’abbellimento interno che il cliente, visto anche l’elevato prezzo d’acquisto, avrebbe preteso da una granturismo. Nella SZ tutto è volto a contenere quanto più possibile il peso. I sedili, avvolgenti, hanno l’intelaiatura in alluminio e così pure il cruscotto, che su alcuni esemplari è in vetroresina. La strumentazione è completa ed è racchiusa in tre strumenti principali di forma circolare.

L’intuizione di Michelotti....

L’assenza dei paraurti fa sì che il punto più prominente del frontale sia lo scudetto che diventa così esposto agli urti. In un’auto di serie questa soluzione sarebbe stata a quel tempo inaccettabile: oggi è diventata prassi normale e ciò sottolinea la modernità della linea della Giulietta SZ, persino nella collocazione arretrata dei fari incastonati in sedi dalla forma che sarà ripresa con la successiva spider Duetto. Queste sedi, in origine carenate da un plexiglass trasparente, saranno in seguito lasciate scoperte perché proibite dal codice stradale; anche in gara non erano usate. La vista posteriore evidenzia la semplicità e l’armonia del disegno di Zagato. La coda si inserisce elegantemente nel complesso dei volumi e ripete, nel linguaggio formale, i concetti espressi dall’anteriore. Linea filante con ampio lunotto e taglio basso del coperchio del baule e due piccoli gruppi ottici. Ciò che stupisce i clienti, a parte la linea, sono le prestazioni della SZ, in particolare la velocità massima: in pista si superano i 200 orari (con una 1300!). Ma le sorprese non sono finite.

Anche questa volta, è il caso a determinare l’evoluzione della SZ, che da “coda tonda” diventa “coda tronca”. Accade che una Giulietta Sprint Veloce, già preparata da Conrero per Francesco de Leonibus e ricarrozzata da Zagato a seguito di un incidente, sia rivista e corretta nella carrozzeria (a seguito di un altro incidente) da Giovanni Michelotti. La vettura, che presenta la coda più alta e tronca, viaggia, a parità di motore, più veloce della SZ! De Leonibus a Monza “prende”, tra lo stupore generale (della stessa Alfa Romeo, di Zagato e di Carlo Abarth che era cliente della carrozzeria milanese), i 222 km/h. Seguono giorni di intenso studio per capire il perché e si arriva alla conclusione, dopo prove sperimentali in autostrada svolte da Elio Zagato e dallo stilista Ercole Spada, che tale configurazione tagliata e rialzata migliora la penetrazione aerodinamica. A metà del 1961 prende così avvio la seconda serie della SZ, modificata da Zagato soprattutto nella parte posteriore (ora più lunga e alta) e nel muso che risulta leggermente allungato e più basso, pur ripetendo i canoni estetici precedenti.

La differenza è visibile nei “baffi” laterali dello scudetto che hanno un solo profilo cromato in luogo dei tre precedenti, nei gruppi ottici secondari traslati ora all’esterno della calandra e nello “svaso” sulla fiancata assente sulla seconda versione. Ritornano i fari carenati e compare, alla base del parabrezza, un rilievo del bordo cofano per “mettere in ombra” aerodinamicamente le racchette del tergicristallo. I freni anteriori sono ora a disco Girling, novità provata su una SZ sperimentale della prima serie ed estesa, su richiesta, alle SZ coda tonda utilizzate in competizione.

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